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12.12.2024

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«So in chi ho creduto», il nuovo libro di Mons. Suetta
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27 Febbraio 2024

«So in chi ho creduto», il nuovo libro di Mons. Suetta

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista esclusiva che il vescovo di Ventimiglia-Sanremo ha rilasciato a Raffaella Frullone in apertura del libro di Antonio Suetta “So in chi ho creduto. Pensieri e parole di un vescovo di frontiera” (Ed. Il Timone, pag. 220, € 18,00) da oggi disponibile sul nostro store e dal 5 marzo in libreria

[…] Monsignore, ora si ritrova Vescovo nella punta estrema del Ponente ligure.
«A pochi passi dalla frontiera e a pochi passi anche dalla mia Diocesi di origine: per fare una battuta, posso dire che ho fatto poca strada. Il fatto che sia rimasto nel mio ambiente di origine evidenzia quella che sento come una costante della mia vita: la normalità. Poi dentro questa normalità ci sono fatti che del tutto normali non sembrano, tra i quali l’avventura che ho incominciato a vivere in questa Diocesi di frontiera. Per frontiera intendo due aspetti. Il primo, quello più noto e che riceve più attenzione mediatica, riguarda i migranti. Il secondo, non meno significativo, riguarda la vicinanza della Francia, con tutto quanto comporta dal punto di vista culturale».

Partiamo dal fronte migranti.
«È una situazione che tendo a vivere, di nuovo, in una cornice di relativa normalità. Certo, ci sono episodi che finiscono nelle cronache dei giornali, in Tv e nel dibattito politico. Pur non negando tanti problemi, sono convinto che per una città di frontiera fare i conti con un fenomeno di questo genere sia abbastanza normale e che sarebbe tutto sommato abbastanza semplice affrontarlo in maniera più dignitosa».

L’influsso della Francia qual è?
«Intanto sono tantissimi i frontalieri, che lavorano oltre confine, il che è un aiuto notevole per il nostro territorio, come lo è la grande presenza da noi di turisti francesi. Accanto a questo, ci sono poi dei contenuti culturali e di costume, che possiamo sintetizzare con il concetto di laicité, che la Francia ostenta, che è la decadenza dovuta alla scristianizzazione che la Francia ha vissuto. Abbiamo situazioni ecclesiali molto differenti: mentre noi ci muoviamo ancora in una pastorale che potremmo chiamare di conservazione, la Francia è alle prese con una pastorale di nuova evangelizzazione, in quanto da conservare è rimasto ben poco».

E poi avete una presenza culturale ingombrante, il Festival di Sanremo…
«Si chiama Festival della canzone italiana, ma in realtà è un prodotto che ha sempre avuto un grande impatto soprattutto sui costumi. Da un lato li rivela, dall’altro li condiziona, li orienta. Cito, ad esempio, una figura famosa come Raffaella Carrà, pur non legata continuativamente al Festival. È stata un’artista di grande successo, ma anche un veicolo di mode, vedute, pensieri che hanno contribuito a una trasformazione della società, per alcuni positiva, per altri, tra i quali il sottoscritto, meno. Negli ultimi tempi questo aspetto è diventato ancora più marcato con l’azione di lobby potenti. Per cui se per tanti anni il Festival, pur con le sue ombre, è stato effettivamente un avvenimento sociale caratteristico per Sanremo, oggi tende a essere
sempre più un’operazione commerciale dai fortissimi connotati ideologici».

Veniamo alla frontiera ecclesiale.
«Qualche volta quando si parla di frontiera uso un sinonimo, che è confine. Il termine frontiera evoca maggiormente una contrapposizione di elementi. La scommessa più grande oggi è quella di vivere situazioni di contrapposizione come confini, dove la parola stessa indica un limite sul quale è necessario esercitarsi nella prospettiva della comunione, che è il cuore più profondo della Chiesa. Chiaramente una comunione non frutto di una strategia, men che meno di compromessi, ma della grazia. Io cerco di vivere così, sento la bellezza e la responsabilità di custodire questa comunione nella verità e credo che questo sia uno degli impegni fondamentali di un pastore».

Il titolo di questo volume è So in chi ho creduto: in tempi dove va di moda il dubbio, è un’espressione forte.
«È un’espressione che mi ha affascinato fin da ragazzo, soprattutto collocandola nel contesto autobiografico di san Paolo. La frase è sua e racconta la storia che Dio ha voluto vivere con lui. La sento anche molto mia perché se c’è una sensazione che ho avuto fin dall’inizio e che continuo ad avere, anche in mezzo a travagli e difficoltà, è di essere accompagnato, sostenuto, guidato. San Policarpo, in occasione del suo martirio, ha fatto eco a questa frase. Quando gli chiesero di rinnegare Cristo, rispose: “Da ottantasei anni lo servo, e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il mio re, che mi ha salvato?”. Ecco, io ho la convinzione di essermi messo nelle mani del Signore e sperimento con gioia che questa fedeltà il Signore la merita». […]

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