Tempo fa una lettrice mi ha chiesto informazioni al riguardo del cosiddetto “matrimonio di San Giuseppe”, che è un vero matrimonio vissuto però in totale castità. Siccome è un tema che potrebbe interessare anche ad altre persone ed è difficile trovare in giro informazioni al riguardo, ho deciso di parlarne su questo blog.
Il Beato Bartolo Longo (Fondatore del Santuario di Pompei), dopo la sua conversione lavorò come “amministratore” presso una ricca vedova, vivendo nella sua grande casa (ovviamente non vivevano “more uxorio”, cioè come coniugi). Nonostante Bartolo Longo fosse un sant'uomo, certe persone diffusero sul suo conto l'infamante calunnia secondo cui il Fondatore del Santuario di Pompei conviveva “more uxorio” con la vedova. La calunnia arrivò persino alle orecchie del Sommo Pontefice Leone XIII, il quale consigliò a Bartolo di sposarsi con quella donna, e così avvenne. L'infamante calunnia venne spazzata via, tuttavia i biografi ritengono probabile che Bartolo e sua moglie vivessero in castità. È lecita una cosa del genere? Papa Pio XI, nella splendida enciclica “Casti connubii” sul matrimonio cristiano, afferma che l'onesta continenza è “permessa anche nel matrimonio, quando l’uno e l’altro coniuge vi consentano”.
Probabilmente a questo punto alcuni si domanderanno come sia possibile che possa essere celebrato validamente un matrimonio del genere, visto che il fine primario del matrimonio è quello di procreare ed educare cristianamente la prole. Per rispondere in maniera corretta a questa obiezione, sono andato a rileggere alcuni vecchi manuali di Teologia Morale.
Il matrimonio è il sacramento che unisce indissolubilmente gli sposi e gli dà la grazia di vivere santamente assieme e di allevare cristianamente la prole. Con il matrimonio i coniugi si scambiano a vicenda il diritto irrevocabile ed esclusivo sui loro corpi al fine di procreare la prole ed educarla cristianamente. Oltre al fine primario del matrimonio (cioè procreare ed educare cristianamente i figli) ci sono due fini secondari: il mutuo aiuto spirituale e materiale dei coniugi; e il rimedio contro la concupiscenza (chi non riesce a dominare la concupiscenza della carne, è bene che si sposi, così eviterà di ardere dalla passione e di commettere qualche peccato di fornicazione).
Il matrimonio può essere celebrato per uno qualunque dei suddetti fini, purché il fine primario non venga deliberatamente escluso. Affinché un matrimonio sia valido, il fine primario è necessario, pertanto chi desidera sposarsi non può avere l'intenzione di escludere di cedere al coniuge il diritto ad utilizzare il proprio corpo per procreare la prole. Tuttavia è lecito rinunciare a esercitare questo diritto, purché entrambi i coniugi siano d'accordo. Per sintetizzare: la cessione al coniuge del diritto sul proprio corpo per fini procreativi è necessaria per la validità del matrimonio, però è lecito rinunciare ad esercitare questo diritto, purché i coniugi siano tutti e due favorevoli a vivere in castità. Questo tipo di matrimonio è denominato “matrimonio di San Giuseppe”.
Non voglio essere frainteso: non sto dicendo che le persone sposate non devono mettere al mondo i figli, anzi ho grande stima per le famiglie numerose, quindi incoraggio i lettori sposati ad accogliere con gioia tutti i figli inviati dal buon Dio, e ad educarli cristianamente per farli diventare un giorno dei “cattolici militanti” e veri soldati di Gesù Cristo.
Tuttavia, se tra i lettori c'è qualche persona non sposata che pur volendo vivere in castità, vorrebbe anche avere al proprio fianco un coniuge cristiano per scambiarsi vicendevolmente aiuto spirituale e materiale, sappia che può celebrare un “matrimonio di San Giuseppe”.
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