L'attivista conservatore ucciso da un cecchino in un campus universitario negli States rappresenta l'11 settembre della libertà di espressione. Le etichette con cui molti media anche italiani lo hanno catalogato sono altre pallottole contro la democrazia
«Kirk, spesso definito “l'influencer di Trump” per la sua capacità di mobilitare il voto giovanile repubblicano». Vieneliquidata così, velocemente, in un articolo dei giornali nostrani, la memoria di Charlie Kirk che evidentemente, era molto più di questo, se la sua vita era talmente scomoda da ritenerne necessaria la soppressione. Colpito a morte, nei giorni scorsi, durante un dibattito alla Utah Valley University, in un attentato che il governatore dello Utah, Spencer Cox, ha definito “un assassinio politico”, non solo è stato ucciso da un colpo di pistola, ma anche la sua memoria continua ad essere fatta a pezzi dai media italiani.
Skytg24 lo definisce «lo sciamano Maga con posizioni controverse su famiglia e gender». L’Ansa gli fa da eco dicendo che aveva «promosso cause conservatrici nonché disinformazioni sul Covid, la teoria critica della razza e il negazionismo sul cambiamento climatico» e che la sua morte è «l’ennesimo atto di una violenza politica esplosa con l’irruzione di Trump in politica». Ma chi era veramente Charlie Kirk? Era davvero il personaggio controverso e a tratti inquietante dipinto dai media italiani? Charlie Kirk era un conduttore radiofonico statunitense, ma soprattutto era un paladino del libero confronto e del libero pensiero (quello vero) ucciso proprio mentre ne stava esercitando il diritto, nel campus di Utah Valley, dove, nel corso del suo Prove me wrong, «provatemi che sbaglio», si confrontava dialetticamente sui temi etici e valoriali, con i giovani.
A tal proposito, in queste ore, circola un video di uno di questi suoi confronti, in cui accoglie le domande a tratti provocatorie di un satanista che gli chiede ragione della sua fede e a cui risponde, non in maniera ideologica, né sparando giudizi, ma semplicemente, supportando ogni sua affermazione con i riferimenti biblici. Non solo, su Instagram, circola una sua intervista in cui gli si chiede per che cosa vorrà essere ricordato, se un giorno dovesse morire. E lui senza ombra di dubbio risponde: «Per il coraggio con cui ho testimoniato la mia fede». Davvero una dichiarazione profetica la sua, alla faccia di chi ha voluto ridurlo ad un semplice propagandista, morto, si legge in alcuni articoli più “audaci”, «in seguito alla violenza generatasi per l'irruzione di Trump in politica». Dunque, “vittima del suo stesso credo” sarebbe il sottotesto.
Come se professare liberamente la propria fede, i valori cristiani e la conseguente visione cristiana dell’uomo e della vita fosse un delitto. E ancor più, come se fosse un delitto professarla in modo apertamente dialogico, non negando il confronto delle proprie idee proprio a nessuno. E anche se a certi giornaloni, grancassa di certa politica, le sue idee proprio non piacciono, sicuramente ha avuto il gran merito di staccarsi dallo stile dei suoi accusatori che, a differenza di Charlie, del martellamento ideologico, hanno fatto il loro vessillo e il loro unico mezzo di espressione, condannando coerentemente, senza se e senza ma, chi ha osato staccarsi dal loro pensiero, unico degno di essere definito “democratico”.
Per cui il peccato mortale di Charlie, per certa stampa, è stato questo: aver avuto il coraggio di professare a gran voce le sue idee scomode, con l’aggravante di averlo fatto con coraggio, confrontandosi con chiunque, non negandosi a nessuno. Ciò che fa più rabbia è proprio questo, questo il suo peccato originale. Dunque, l’ assassinio che ne è seguito, sarebbe stata solo la naturale conseguenza del suo modo di reagire, troppo scomodo e coraggioso. Quelli che etichettano Charlie, e che a mal pensare sembrano quasi dire che "in fondo se l'è cercata", sono, dunque, quei democratici che si rivelano l'opposto di quanto predicano. Se questo assassinio non è stato altro che un attacco al principio stesso della libertà di parola e di chi osava professarla e praticarla, ora certi media continuano a loro modo a fare i cecchini e a sparare. Si può ovviamente essere in disaccordo con le idee di Kirk, ma quando lo si etichetta non lo si zittisce ma semplicemente lo si rimette nel mirino. Non siamo tutti Charlie in questo caso? (foto: Ansa)
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