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Stilla come rugiada dal Kuwait #20 – Non separare Bellezza e Verità
NEWS 29 Agosto 2021    di don Francesco Capolupo

Stilla come rugiada dal Kuwait #20 – Non separare Bellezza e Verità

XXII Domenica del Tempo Ordinario 29/08/2021

Commento al Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23

Dopo la lettura del capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni, lungo cinque domeniche, ritorniamo alla proclamazione cursiva del vangelo secondo Marco.

La liturgia ci presenta un nuova “missione” di scribi e farisei che ritornano a Gerusalemme, dalla Galilea, un’altra volta, per contestare e accusare Gesù. Lo avevano fatto in precedenza (Mc 3,22-30) per ammonirlo circa il suo legame a Satana, accusandolo di scacciare i demoni con il potere dei demoni, e adesso si ripresentano per formalizzare un atto di accusa contro Gesù, legato alla prassi dei suoi discepoli: il fatto che i discepoli consumino il loro pasto (nel testo originale: “mangiano dei pani”) senza essersi lavati le mani, dunque con mani impure.

In verità, la Torah rivolgeva il comando dell’abluzione rituale delle mani solo ai sacerdoti che facevano l’offerta nel Tempio, il sacrificio (Es 30,17-21). Ma al tempo di Gesù vi erano movimenti che radicalizzavano la Torah e moltiplicavano le prescrizioni della Legge, con una particolare ossessione per il tema della purità. Tra questi vi erano gli chaverim (compagni, amici) e i perushim (separati, farisei), i quali consideravano molto importante la prassi del lavarsi le mani e di altre abluzioni in vista della purità, che poteva essere infranta a causa di contatti con persone o realtà impure.

C’è un passaggio cruciale del Signore all’interno della reprimenda che rivolge ai farisei, un passaggio notevole e importante per ciascuno di noi, riassunto in questa frase: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

Di fronte alla responsabilità che nasce dalla fede, che nasce dal rapporto personale con Dio e in maniera particolare, quando si riveste un incarico formativo ed educativo nella fede, abbiamo sempre la tentazione di trasformare in “legge di Dio”, quello che riteniamo noi essere giusto e conveniente; anzi, conveniente per noi.

L’accusa dei farisei è centrata soprattutto nel mancato rispetto delle norme di purificazione e come abbiamo visto poco prima, l’attenzione si fissa sul prendere cibo, senza aver lavato le mani.

Cosa ci rende puri veramente? La pulizia esterna, il profumo delle essenze di un sapone o il profumo della misericordia divina che nella Grazia dei sacramenti trasforma la nostra vita?

Entrambe le cose, questo ci risponde Gesù nella citazione fatta poco sopra.

Il Signore non mette in opposizione le due posizioni, non contesta le abluzioni in senso stretto, il Signore contesta la separazione che noi operiamo nella nostra vita, quel senso “manicheo” che ci attanaglia per cui dobbiamo sempre vivere la nostra esistenza in una sorta di realtà a “compartimenti stagni”; non è così.

La purificazione esteriore è Segno, forma di quella interiore, non è in contraddizione. Il fariseismo ha avulso la forma dalla sostanza, svuotandola di significato e condannando le persone ad un meccanicismo logorante e asfissiante che nulla ha di sacro ma che si rivela solo un peso.

Per comprendere questo passaggio nella sua profondità, occorre andare con la memoria al Vangelo di Luca, quando la donna peccatrice irrompe a casa del fariseo “abbracciando” i piedi di Gesù, lavandoli con le sue lacrime, asciugandoli con i suoi capelli e infine cospargendoli di olio profumato.

Questa donna, peccatrice, quindi impura (che non viene sbattuta fuori di casa come vorrebbe la “tradizione”, perché Gesù – la Verità – si impone sempre per autorevolezza, anche in silenzio) non fa altro che compiere in verità le abluzioni e Gesù la lascia fare perché quei segni sono segni d’amore e verità: piange lacrime, esprime cioè il suo dolore per il suo peccato e perché è desiderosa di sentire una Parola di Amore fatta per lei, lei che è “usata” da tutti ma allontanata perché impura (ecco l’ipocrisia che scatena la durezza di Gesù!!!). Asciuga i piedi di Gesù con i suoi capelli, cioè accarezza la dolcezza del camminare con il Signore, la durezza di quel cammino che finalmente non è più un isolamento ma un segno di comunione. Infine versa olio profumato, segno di pulizia non soltanto per lei ma per tutti, perché quando riceviamo il perdono del Signore nel sacramento, tutta la Chiesa sente il profumo dell’Amore di Dio che noi siamo chiamati a portare.

Gesù non è contro i segni ma è per la sostanza dei Segni. Trascurare i comandamenti di Dio, significa creare idoli a cui diamo dignità di tradizione. Tradizione deriva dal latino “tradere”, consegnare. Ma noi possiamo solo consegnare qualcosa che abbiamo ricevuto, l’Amore che abbiamo conosciuto, la Verità che abbiamo ascoltato, altrimenti questo verbo assume il significato che ha dato Giuda Iscariota: consegnare per tradire, non per appartenere.

Gesù, quindi, e i suoi discepoli non sono contro la purificazione ma tralasciano i gesti vuoti, le finte tradizioni che sono tradimenti, menzogne, idoli prodotti dagli uomini. Non si può separare la Bellezza dalla Verità, altrimenti diventa una inutile, pesante vanità idolatrica, subita da chi deve ricevere l’insegnamento e usata a proprio comodo da chi dovrebbe essere maestro.

Uno degli aspetti più belli delle celebrazioni con persone di riti e tradizioni diverse da quello “latino” consiste proprio nell’apprezzare quanto la Bellezza esteriore sia strettamente collegata alla Verità.

Le comunità indiane e filippine che vivono in Kuwait ne sono una dimostrazione. Abiti bellissimi, orecchini, bracciali e copricapi indossati dalle donne che rendono una stupenda armonia con la mistagogia della liturgia. Non c’è volgarità, non c’è vanità ma un profondo desiderio di ringraziare il Signore e rendergli onore nella Bellezza degli abiti, del canto, dell’armonia della celebrazione. Quanta dignità e quanto stupore negli occhi di queste signore e dei loro mariti e figli avvolti nei costumi tradizionali. Ci insegnano che la Bellezza è veramente un “trascendentale dell’Essere” che S. Tommaso d’Aquino analizza e approfondisce accuratamente.

Il Bello è “ciò la cui contemplazione piace” ci dice l’Aquinate, indicandoci un metodo: contemplare è il verbo che indica lo sguardo di Dio su di noi e lo sguardo di ricerca che noi dovremmo avere sempre. Possedere è l’istinto dell’uomo che sciupa la Bellezza, soggiogandola, schiacciandola, violentandola. Dobbiamo imparare a contemplare la Bellezza, a contemplare Dio e sapremo contemplare anche gli occhi di chi ci sta accanto, come fece Gesù con quella peccatrice che chiedeva di essere Amata e non più usata.


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