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Stilla come rugiada dal Kuwait #34 – L’acqua nel deserto è la voce di Giovanni
NEWS 5 Dicembre 2021    di don Francesco Capolupo

Stilla come rugiada dal Kuwait #34 – L’acqua nel deserto è la voce di Giovanni

II Domenica di Avvento 05/12/2021

Commento al Vangelo Lc 3, 1-6

L’evangelista Luca comincia la sua narrazione dell’annuncio del Vangelo con la figura di Giovanni il Battista, o meglio presentandoci la sua missione perché per Luca, tutta la predicazione del Battista è già Buona Novella, inizio di evangelizzazione: “Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella” ( Lc 3, 18). Tutto questo per Luca è fondamentale e non è un caso che cominci la sua narrazione proprio posizionando gli eventi nel quadro della storia dell’Impero romano e nel sacerdozio giudaico, i due pilastri nei quali sorge il grande intervento di Dio nel deserto, la nascita di un profeta, dopo cinquecento anni di “silenzio”, la Parola di Dio scende (letteralemente è “cadde”) su Giovanni, proprio nel deserto.

La predicazione del Battista è, letteralmente, uno scorrere di acqua nel deserto, un richiamo potente alla radicalità del rapporto con Dio che necessita del deserto stesso per essere ascoltata e accolta, ancor più perché possa portare frutto, il miracolo di una sorgente di vita nell’arsura più totale.

Il deserto attorno al Battista è il luogo dell’ascolto, rappresenta propriamente quei cinque secoli di silenzio dall’ultimo profeta, Malachia, prima che appunto Dio donasse al suo popolo la possibilità di fare tesoro del tempo e del deserto per dare spazio alla tenda del Signore.

Giovanni predica la conversione, ossia l’esigenza di un mutamento di mentalità, di comportamento e di stile di vita, e chiede che questa volontà, questa decisione che può avere origine solo nel cuore, sia accompagnata da un’azione semplice, umana: si tratta di lasciarsi immergere (questo, alla lettera, il senso del verbo “battezzare”) nelle acque del fiume Giordano. Questo atto è immagine di un affogamento: si va sott’acqua, si depone nell’acqua l’uomo vecchio con i suoi comportamenti mortiferi e si viene fatti riemergere dalle acque come uomini in grado di camminare in una vita nuova.

Il battesimo di Giovanni è un segno pubblico, visibile e riconoscibile da tutti. Questo significa che implica un impegno, anzi assume proprio il significato di una testimonianza, la volontà di manifestare apertamente il desiderio e la scelta di una conversione: ho ascoltato la Parola e questa mi ha trasformato, mi cambia ogni giorno, mi apre alla Grazia, mi fa sentire parte di una comunità, mi spiega, cioè mi apre alla Verità, alla vita dei sacramenti (segni di Dio!), nulla è più come prima, possiamo dire noi oggi alla luce del nostro Battesimo, che ci porta con Cristo negli inferi per risorgere con Lui nella Gloria.

Non solo.

Il Vangelo stesso ci dice che in questo immergersi ed affogare per riconoscere il proprio limite è contenuta una novità assoluta: il perdono dei peccati da parte di Dio.

Se noi predisponiamo tutto per ricevere questo amore, se sappiamo accoglierlo e dunque ci convertiamo, allora il dono del perdono dei peccati ci raggiunge e opera ciò che nessuno di noi potrebbe operare: i nostri peccati, il nostro aver fatto il male è cancellato e dimenticato da Dio, che ci guarda come creature nuove perché perdonate e giustificate dalla sua misericordia. Questo è il Vangelo, la buona notizia che comincia a risuonare tra le dune e le rocce del deserto e il fiume Giordano, per opera di Giovanni.

Questo è il messaggio che, dopo la passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, dovrà essere predicato a tutte le genti (Lc 24,47). Tutto ciò avviene ai margini della terra santa, nel deserto, con il suo vuoto, il suo silenzio, la sua solitudine. Ma nel vuoto, nel silenzio e nella solitudine Dio arriva per salvare e redimere la nostra umanità, la nostra fragilità, l’umanità immersa nella morte e nel dolore. Questa umanità ha bisogno che vengano aperte le vie, ha bisogno della voce di qualcuno che gridi nel deserto, che porti le realtà del Cielo nell’aridità della terra.

La Salvezza è vicina, il grido potente dell’Avvento, il tempo dell’incontro, il nostro deserto per immergerci nelle acque dolci della pace di Cristo, la pienezza della vita.

Non posso nascondere che questa pagina del Vangelo mi tocchi profondamente; da più di un anno vivo anch’io nel deserto, un deserto particolare che in questi ultimi tre decenni si è riempito di tante urla che non sempre sono state profezie ma presagi di sventura.

In questo anno, però, ho imparato che l’aridità e la durezza della sabbia e del caldo sono come sentinelle. Anche nelle grida dei finti profeti, la Voce di Colui che ha vinto la morte, si erge più forte e decisa di ogni altra voce. Nel deserto non si è soli, isolati ma non soli. Si ha l’opportunità di pesare bene l’acqua di cui si ha bisogno, coprirsi e scoprirsi con attenzione per non soffrire l’escursione termica e non soccombere sotto il cocentissimo sole.

La voce di Dio urla più che mai tra queste dune, nei volti e negli occhi del suo popolo che sta in ascolto, un popolo così variegato, affaticato ma lieto perché immerso nell’acqua della vita: nulla li può travolgere, sono abbracciati a Cristo.

Porto con me questo nella valigia che preparo: questi volti, questi occhi, questo desiderio e qualche lacrima di malinconia, non dovuta alla sabbia, ma al dolce soffio dello Spirito che in questo anno mi ha abbracciato continuamente.


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