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Stilla come rugiada dal Kuwait #12 – Quali segni cerchiamo quando pensiamo a Dio?
NEWS 4 Luglio 2021    di don Francesco Capolupo

Stilla come rugiada dal Kuwait #12 – Quali segni cerchiamo quando pensiamo a Dio?

XIV Domenica del Tempo Ordinario 04/07/2021

Commento al Vangelo Mc 6, 1-6

«…molti, ascoltando, rimanevano stupiti»… «Ed era per loro motivo di scandalo». Nell’arco di due proposizioni, l’atteggiamento dei parenti e dei compaesani di Gesù assume un significato opposto. Quanto ci è difficile fidarci dell’umanità, fidarci delle persone, e non è un problema di prudenza o scetticismo, è un problema di Verità.

Ci è difficile fidarci, molto spesso, della nostra quotidianità; non amiamo quello che siamo, quello che giornalmente siamo chiamati a rinvigorire e sostenere con il nostro lavoro e la nostra personalità. Non amiamo la Verità, seppure il nostro cuore, come ci ricorda tutta la tradizione della Scrittura, è fatto per la Verità e ricerca la Verità stessa. Vado giù un po’ duro, perché mi rendo conto sempre di più che questo atteggiamento borghese e gnostico ci avvolge costantemente. La nostra è una società “razio-patologica”: pretende di spiegare tutto con la sola ragione (confondendo la ragione stessa con la scienza assoluta) ma, allo stesso tempo, cerchiamo l’eclatante, vogliamo episodi eclatanti nella nostra vita perché possano essere degni di ottenere la nostra fiducia.

Per cui accade che il relativismo radical-chic dominante, sbeffeggi continuamente il cristianesimo, la Chiesa, la figura stessa di Gesù Cristo, ma poi leggi nei dati ufficiali che siamo la “generazione” più superstiziosa e dedita all’occultismo e alla magia dai tempi dell’Illuminismo: avete capito bene, il secolo della ragione, il secolo della libertà assoluta, «l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro..» (Kant, Lettera sull’illuminismo).

Questo secolo ci accomuna al secolo dei lumi, in questo caso tutto nel male, poiché il finto razionalismo, che esclude la libertà dell’uomo dalla ricerca della Verità (cioè Dio, come insegna benissimo San Giovanni della Croce) perché si da per assodato che non esista, inevitabilmente porta ad un corto circuito: io devo guardare a qualcosa di più grande e se mi togliete Dio, dovrò per forza mettere un surrogato al suo posto, ossia un idolo e a questo punto siamo nella trappola.

SEGNI COME IDOLI

Ci è più chiaro, perché Gesù risponda, non tanto con le parole “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”, quanto con i gesti: “E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità”. Non è in discussione, ovviamente, la potenza di Gesù e la sua capacità di compiere miracoli ma Gesù comprende che, a quel punto, i Segni sarebbero stati occasione di scandalo. I suoi parenti si scandalizzano del bene ma Gesù vuole evitare che i miracoli, i Segni prodigiosi spingano queste persone verso l’arroganza di credere ad una “magia nera” o, peggio, all’idea di avere un parente/amico da cui cercare “raccomandazioni”: quei segni non sarebbero più serviti per la Salvezza ma per l’inasprimento del loro arrogante orgoglio. Ecco perché Gesù si limita nella sua azione.

Ma non abbiamo letto nella Scrittura (Rm 5, 20) che dove abbonda il peccato, sovrabbonda la Grazia? Come si concilia questo atteggiamento di Gesù con la frase di San Paolo?

Ne è l’esplicitazione. Il peccato abbonda laddove la nostra stessa ragione decide deliberatamente (guai a mescolare la nostra cattiveria con la patologia, per deresponsabilizzarci) di abbandonare la vita in Cristo, e affinché la Grazia sovrabbondi in questo mare di peccato dobbiamo deliberatamente desiderarla, cercarla, farne richiesta. E Cristo risponde con i sacramenti, con la comunità, con la Sua Parola, con la Chiesa.

I segni di Gesù nel Vangelo non sono segni impositivi, ma educativi, nel senso etimologico della parola: e-ducere, in latino vuol dire condurre fuori, mettere allo scoperto e noi abbiamo bisogno di scoprire la nostra ragione, il nostro cuore (che non si oppone alla ragione, il cuore è il luogo biblico della conoscenza), e orientarli a Dio come ci hanno insegnato l’emorroissa di domenica scorsa e Giairo: Tu puoi tutto, vienimi incontro e consentimi di crescere, guarire, scoprire la Verità, essere veramente libero!

I SEGNI DI NADINE

Nadine è una giovane sposa e madre che vive in Kuwait, è di origine libanese, cattolica maronita. E’ laureata in lingue, fa la traduttrice (in Libano lo faceva essenzialmente) e con il marito e i suoi tre figli è fuggita in Kuwait a causa della guerra. Mi insegna l’arabo, ma imparo da lei e dalla sua famiglia tante altre cose. Nella nostra prima lezione, mentre parlavamo delle regole grammaticali arabe, mi ha detto una frase che mi ha colpito: «padre, io qui sono sempre in casa, non posso lavorare fuori, ancora noi non abbiamo diritto al vaccino e la vita sociale ci è esclusa per questo, ma lavoro per la mia famiglia: accudisco marito e figli, cerco di fare il meglio che posso in casa soprattutto per i ragazzi perché non abbiano mai a pensare che la vita sia brutta; dura si, ma mai brutta e la mia ricompensa, il SEGNO (l’ha sottolineato con la voce) consiste nel loro sorriso, nel loro abbraccio, il miracolo più grande che Dio possa fare». La straordinarietà dell’ordinarietà potremmo dire; ma solo un cuore libero e una ragione aperta a Dio, nella semplicità, possono sperimentarla.


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