Assunzione al Cielo della Beata Vergine Maria, Solennità 15/08/2021
Commento al Vangelo Lc 1, 39-56
«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo».
Credo che la maternità abbia, tra le sue caratteristiche più commoventi, l’esperienza della piena sintonia tra due creature; la madre e il bambino che porta nel grembo formano quasi un solo corpo nella distinzione di due persone, due volontà che si intrecciano, per una dipendenza ed un senso di responsabilità. Il bambino dipende da sua madre; più che vivere nel suo grembo, vive “del” suo grembo, materialmente, affettivamente, psicologicamente e spiritualmente. Il bambino ha sete di questa dipendenza, ma la madre ha grande responsabilità, perché il figlio è un dono per se, per la propria famiglia, ma è un dono che Dio fa al mondo, alla Sua Chiesa e lo affida a dei genitori perché questo dono sia custodito, formato, amato ed educato.
Questa è la base di partenza che anticipa la formulazione del Magnificat. La maternità e la paternità sono iscritte nel cuore delle donne e degli uomini, ma sono, appunto, una responsabilità e come abbiamo visto nelle domeniche precedenti, responsabilità vuol dire “rispondere”, implica che qualcuno ci abbia chiesto e affidato qualcosa di cui siamo chiamati a rispondere. Sovvengono le parole del vecchio Simeone: “ora lascia Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua Parola…”; poter “rispondere” questo nell’ultimo giorno, quando saremo di fronte a Dio, sarebbe veramente una responsabilità, paterna e materna, compiuta.
Maria appartiene al genere umano. E’ la concepita senza macchia, è preservata dal peccato, ma è una donna, una giovane ragazza che ha preso sul serio la sua vita, che si è affidata a Dio, “rispondendo” alla sua chiamata: “Avvenga di me secondo la tua Parola”. Rispondere alla chiamata di Dio non vuol dire “risolvere i problemi”, vuol dire decidere di affrontare l’esistenza con la certezza della riposta che l’Angelo ha dato a Lei ma che ha dato a ciascuno di noi nel Battesimo: “non temere Maria, hai trovato Grazia presso Dio”. Come si tocca questa Grazia?
Maria parte e da Nazaret va ad Ain Karim, una località che si trova a 6 km da Gerusalemme, e a 200 km da Nazaret; fa un viaggio che dura circa una settimana. Maria era nata a Gerusalemme, era figlia di Gioacchino ed Anna, e va dalla parente Elisabetta. Perché? Per fare un’opera buona? Maria ha bisogno di meditare, ha bisogno di una conferma a ciò che lei sente, ha bisogno di sentire da Elisabetta, sua parente, che cosa significhi concretamente sperimentare la Grazia: chi meglio di colei che pur essendo vecchia ha avuto il dono di generare la vita? Chi meglio di colei che detta sterile, renderà rigoglioso il deserto donando al mondo Giovanni il Battista?
Il Magnificat è la risposta di Maria alla Grazia che Dio le dona anche attraverso Elisabetta. La Grazia è un sussulto, è un momento che resta indelebile. Un attimo che spalanca all’eternità e che deve essere ricordato ogni istante, meditato ogni giorno, altrimenti non lo sperimentiamo. Maria capisce che il suo “fiat” deve essere rinnovato ogni momento: è un lavoro, la vocazione umana è un compito non un lasciapassare per il mondo! E’ la parola “Magnificat” che lo spiega benissimo come tutta la preghiera di Maria lo dimostra: un ringraziamento, un elogio a Dio per quel sussulto di Grazia che le ha illuminato tutto: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
“Magnificat anima mea Dominum”. Trenta anni più tardi san Giovanni Battista applicherà la stessa parola al Signore: “Magnificari oportet”: Egli deve crescere. Letteralmente significa che il Signore deve essere ‘fatto grande’, cioè sulla terra: Egli Che è infinitamente grande in Cielo deve essere ‘fatto grande’, o glorificato, anche sulla terra: la Sua Volontà, che è di essere glorificato dal creato intero, deve essere fatta come in Cielo, così in terra.
L’inno del Magnificat non è un canto “romantico”, disilluso di una giovane donna che vive di sogni. Quante volte riduciamo la maternità di Maria e la paternità di San Giuseppe a puro sentimentalismo: è una responsabilità, una risposta e per rispondere adeguatamente dobbiamo prendere sul serio le domande. In cosa consiste, d’altronde, la santità se non in questa serietà umana e spirituale?
Dobbiamo crescere, far crescere la presenza di Gesù dentro la nostra vita, questo vuol dire Magnificat; non è solo un ringraziamento, è un compito, la nostra vocazione.
Ho celebrato la vigilia di questa solennità qui in Kuwait con la comunità cattolica maronita, tutti provenienti dal Libano. È una comunità assai numerosa come già accennavo qualche domenica fa.
La celebrazione si è aperta con la processione dei bambini che portavano ciascuno un fiore a Maria, una bellissima icona posizionata davanti all’altare. Il canto che accompagnava la processione mi ha colpito moltissimo: una musica bellissima, struggente che descriveva bene lo stato d’animo dell’uomo che cerca il volto materno di Maria per rispondere il proprio “SI”.
Ma ciò che mi ha colpito di più è stato il titolo del brano, che in italiano dice: “senza pagare”. Maria è la madre che conosce il dolore, la responsabilità, la forza e, senza farti pagare, è tua avvocata perché tu risponda “SI”, tu faccia crescere la Gloria di Dio nel mondo, tu possa portare l’Eternità nel buio della finitezza umana.
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