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9.12.2024

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Stilla come rugiada dal Kuwait #2 – Non banalizziamo l’Amore
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25 Aprile 2021

Stilla come rugiada dal Kuwait #2 – Non banalizziamo l’Amore

IV Domenica di Pasqua, 25 Aprile 2021

Vangelo Gv 10, 11-18

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore».

E’ possibile conoscere qualcuno o qualcosa senza amarlo veramente? E si può amare senza conoscere?

In abiti civili (il clergyman e l’abito sacerdotale qui in Kuwait sono sconsigliati in giro per la città) giravo alla ricerca di un sarto per abbellire il nuovo tabernacolo della Cappella/tenda della nostra base militare. Non si esce quasi mai dalla base, è raro. Dal deserto, dove ci troviamo noi, la città dista circa 100 km, durante i quali non si vede nulla, se non sabbia e qualche dromedario vicino agli accampamenti nomadi di qualche beduino del deserto. Pensavo ai colori della stoffa, al taglio, anche se in testa avevo già un’idea del da farsi. Non riuscivo a trovare nulla, tra “sarti” incapaci e alcuni svogliati, fino a trovare un bel negozio, semplice ma tenuto bene, elegante dove la bellezza delle stoffe mediorientali risaltava ancora di più. La risposta è finalmente “si”, sono sarto, posso cucire e da buon artigiano apre il suo cassetto degli attrezzi e inavvertitamente esce un’icona bellissima: la Santa Famiglia con Sant’Antonio abate. “Che bella, sei cristiano!”; “ Sorry sir, è una cosa vecchia…io non so come sia rimasta qui” e vedo nel suo volto un misto di paura ma anche di semplicità, mi guarda negli occhi e io guardo lui: “non avere paura, sono un prete, un prete cattolico” e mostro il colletto che tenevo nella tasca assieme al rosario. Un’esplosione di gioia nel suo volto, ha chiuso il negozio ed è corso a chiamare la moglie, i suoi figli: tutti in ginocchio, per chiedere la benedizione e le parole della moglie rivolte a me con gli occhi lucidi: finalmente Dio ha visitato il suo popolo! Da lì è nato un legame, il racconto della sua storia; Fares (cavallo in arabo) e la sua famiglia sono cattolici di rito maronita, emigrati dal Libano, terra dei limoni, martoriata dalla guerra, arrivati in una terra arida, dove dei limoni non senti il profumo, ma solo l’amarezza del deserto, anch’essa martoriata dalla guerra ma la nobiltà dell’emirato vuole vestire bene e Fares è un artigiano di alta capacità, che cuce Bellezza di fronte all’effimera vanità di chi possiede moltissimo denaro, ma non ha i criteri della Verità.

Io e Fares ci conoscevamo già, anche prima di incontrarci. Il Segno è stato quello sguardo, quell’icona. Ci conoscevamo già perché tra mille fatiche e difficoltà amiamo qualcosa che il cuore di tutti gli uomini cerca: la Verità, la Giustizia, la Bellezza e le amiamo perché le conosciamo, perché sono diventate carne in Gesù di Nazaret, il Salvatore. Lo ripetiamo spesso ma poche volte ce ne rendiamo conto realmente. Il Buon Pastore conosce le sue pecore, perché come Fares, cuce Bellezza sui nostri volti ma noi, come la nobiltà dell’emiro, pensiamo di possedere tutto “pagando” senza sapere che in quell’amore già abbiamo, già conosciamo. Tutto si gioca nel conoscere e il cristiano conosce amando e amando si predispone a conoscere ancora di più.

Quante volte depotenziamo la conoscenza, dando tutto per scontato, credendo che tutto sia dovuto, che tutto sia già segnato: “che ci posso fare?” “chi sono io per dire, per fare”.

Quante volte banalizziamo l’Amore con il buonismo spiccio, con il sentimentalismo che annacqua il Vino del sacrificio di Cristo che è morto per Amore. Io sono il Buon Pastore e do la mia vita per le pecore. Non si ama veramente se non si conosce l’Amore, perché solo se conosci chi ti Ama per primo puoi morire per qualcuno e non muori mai per qualcuno se non sai dire all’altro: ti voglio bene perché per te darei la mia vita, conoscendo già che Cristo ha dato la sua Vita per me, per noi. Non siamo chiamati ad essere eroi ma testimoni, Martiri che trasformano eroicamente l’ordinarietà in straordinaria Eternità.

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