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Stilla come rugiada dal Kuwait #3 – Il vino e la vita piena
NEWS 2 Maggio 2021    di don Francesco Capolupo

Stilla come rugiada dal Kuwait #3 – Il vino e la vita piena

V Domenica di Pasqua – 2 Maggio 2021

Gv 15, 1-8

La pagina odierna è tratta dai “discorsi di addio” (cf. Gv 13,31-16,33). Gesù afferma: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore, il vignaiolo». Per un ebreo credente la vite è una pianta familiare, che insieme al grano e all’olivo contrassegna la terra di Israele; è la pianta da cui si trae «il vino, che rallegra il cuore umano» (Sal 104,15).

Proprio la vite era diventata l’immagine del popolo di Israele, della comunità del Signore: vite scelta, strappata all’Egitto e trapiantata (cf. Sal 80,9-12), coltivata con cura e amore dal Signore, che da essa attende frutti. Gesù, rivelando di essere lui la vite vera (alethiné) – come Geremia proclama di Israele: «Ti ho piantato come vite vera (alethiné)» (Ger 2,21) – si definisce l’Israele autentico, piantato da Dio, dunque pretende di rappresentare tutto il suo popolo. Egli è la vite vera e Dio, chiamato con audacia “Padre”, è il vignaiolo, colui che la coltiva. I profeti nella loro predicazione si erano più volte serviti di questa immagine per parlare dei credenti: Dio è il vignaiolo che ama la sua vigna, ma da essa è frustrato (cf. Is 5,1-7; Ger 2,21; 5,10; 6,9; 8,13); Dio è il vignaiolo che piange la sua vigna, un tempo rigogliosa ma ora bruciata (cf. Os 10,1; Ez 15,1-8); Dio è il vignaiolo invocato in soccorso della sua vigna devastata e recisa (cf. Sal 80,13-17). Sì, Gesù, il Messia di Israele, è la vigna che ricapitola in sé tutta la storia del popolo di Dio, assumendo i suoi peccati e le sue sofferenze.

In Kuwait non si trova il vino, non sono ammessi alcolici dalla legge coranica. L’alcol “svia” l’uomo, lo rende incapace di controllarsi e quindi più fragile e potenzialmente più incline al peccato, secondo la dottrina islamica. Sicuramente l’eccesso di alcol non è una cosa buona, come ogni eccesso; ciò che “eccede”, che va oltre quanto possiamo portare è sempre occasione di errore, di fatica, alla lunga di svilimento.

Non possiamo eccedere su nulla (il padrone della vigna ci pota proprio per evitare che possiamo eccedere negativamente nel nostro agire) ma, allo stesso tempo, ci invita a non demordere nella battaglia e a non censurare nulla della nostra vita, dobbiamo vagliare tutto trattenendo ciò che vale.

Il cristiano ha un’arma in più, la conoscenza della Fede, o meglio per Fede. Non dobbiamo sperimentare tutto prima di decidere cosa fare, possiamo conoscere ciò che è un bene o un male perché abbiamo un criterio di giudizio, la Verità incarnata, il Verbo che si è fatto carne.

Ogni persona accede alla conoscenza per fiducia e la ragione naturale può arrivare a comprendere molte cose, ma il Tutto viene dalla luce della fede. So che se eccedo nell’alcol mi ubriaco e so che se mi ubriaco sono potenzialmente pericoloso e dannoso per me e per gli altri e so che se c’è un male, vuol dire che io sono chiamato e orientato al bene, che devo ricercare e vivere. Quanto cristianesimo “moralistico” (non morale, che è diverso) viviamo e, vivendo così, perdiamo il gusto della vita e, conseguentemente, della vita piena. Rischiamo di perdere il frutto che invece siamo chiamati a produrre, a portare al mondo.

Il bene si mostra nella bellezza dell’azione dell’uomo, ce lo insegna San Francesco d’Assisi, “moralisticizzato” dal politicamente corretto, ma in realtà amante vero della natura e del Creato.

Una delle prime biografie del Serafico, quella di Tommaso da Celano (1247), narra che S. Francesco, capitando il Natale di venerdì, impose ai frati di mangiare carne in quel giorno «in cui è nato il bambino». Ma Francesco non mangiava solo carne, la gustava molto. Sappiamo quali erano i suoi cibi preferiti: carne bianca, pesce luccio e pasticcio di gamberi. Non solo mangiava, ma gustava i cibi con il suo perenne atteggiamento di «perfetta letizia». Pochi giorni prima di morire scrisse a Jacopina dei Settesoli di preparargli e mandargli quei dolcetti di mandorla che solo lei sapeva fare.

La conoscenza per fede, la pienezza di vita, la speranza del Cielo.


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