C’è un posto, nel mondo, dove il grembo materno per i bambini non ancora nati è, dal 22 ottobre – giorno della memoria liturgica di papa Wojtyla -, un posto un pochino meno pericoloso: la Polonia. Con una sentenza che passerà alla storia, e che speriamo faccia scuola anche per altri Paesi, la Corte costituzionale polacca ha infatti proibito, di fatto, l’aborto eugenetico, considerandolo anticostituzionale.
Il riferimento è la legge sull’aborto introdotta nel 1993 che, seppure sia considerata molto restrittiva, consente di abortire il bambino qualora la gravidanza mette in pericolo la salute o la vita della madre, qualora la gravidanza derivi da da uno stupro o da altri atti illegali, ma anche in caso di difetti congeniti, e questo fino alla 24esima settimana, termine oltre il quale si è stabilito che il bambino potrebbe sopravvivere autonomamente al di fuori del grembo materno (anche se i progressi medici oramai hanno abbassato di 2-3 settimane questo limite).
Ebbene, con un’iniziativa parlamentare trasversale, la Corte è stata interrogata proprio rispetto a questo ultimo aspetto. E il verdetto, pronunciato dalla presidente Julia Przylebska, non lascia margine a interpretazioni: una tale disposizione risulta essere, riporta LifeSiteNews, «incompatibile con l’art. 38 della Costituzione, in cui si afferma che la Repubblica di Polonia fornisce a ogni essere umano protezione giuridica della vita; e con l’art. 30, che recita: “La dignità intrinseca e inalienabile dell’uomo è la fonte della libertà e dei diritti umani e civili. È inviolabile e il suo rispetto e la sua protezione sono responsabilità delle autorità pubbliche”».
Nel 2019, in Polonia, sono stati abortiti legalmente 1.074 bambini malati, inclusi 435 bambini affetti da sindrome di Down. Un numero che, dal 1993 ad oggi, è andato di anno in anno aumentando. Ma 1.074 bambini che, dunque, se fossero stati concepiti due anni dopo, avrebbero avuto salva la vita e avrebbero potuto portare il loro contributo, unico e irripetibile, al loro Paese e al mondo intero.
Questo oltre al fatto che, senza la “scappatoia” dell’aborto eugenetico, non solo le donne potranno vivere senza pressioni la propria scelta – oggigiorno disincentivata, contrastata e denigrata – di accogliere il proprio figlio a dispetto delle sue “qualità”, ma anche la scienza medica sarà incentivata a progredire nel campo della diagnosi e della cura prenatale, anche qui con un guadagno per l’intera collettività.
Naturalmente, se la sentenza della Corte è stata accolta con gioia dai sostenitori della vita e dal mondo cattolico (l’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski ha espresso, riporta Crux Now, «grande apprezzamento per il coraggio» dei giudici nella difesa della vita umana), che si era anche speso in novene e veglie notturne, è altresì vero che i politici di estrazione progressista, assieme ai cosiddetti pro choice e ai fautori dell’autoderminazione della donna sempre e comunque si sono subito attivati con moti di protesta, lamentando una limitazione della libertà di scelta e dei diritti delle donne. Una visione, questa, che non solo non tiene in considerazione il fatto che a essere abortite sono proprio anche le donne che si vorrebbero difendere, ma che non considera anche che l’aborto ha conseguenze pesanti sulla salute fisica e psicologia della donna, che aumentano con l’aumentare delle settimane di gestazione e con la facilità di accesso all’aborto: sono i dati Oms a rilevare, infatti, che il Paese che ha il minor tasso di mortalità materna (minore di Usa e Canada, minore di quello dei Paesi scandinavi) è proprio la Polonia (3/100.000), a dispetto della sua legge restrittiva in materia di aborto.
Il Paese guidato da Andrzej Duda rimane dunque baluardo, in Europa ma non solo, di quelli che si è soliti definire i “valori non negoziabili”, ossia la vita in ogni sua fase, la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e la libertà di educazione. Temi scomodi, nel mondo di oggi, ma imprescindibili per costruire uno Stato sano.
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