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Teen Vogue tifa per la prostituzione legale
NEWS 19 Giugno 2019    di Giuliano Guzzo

Teen Vogue tifa per la prostituzione legale

Prostituirsi è un lavoro, un vero lavoro; e non c’è alcun motivo per esserne contrari. È la tesi rilanciata nei giorni scorsi su Teen Vogue attraverso un lungo editoriale con cui Tlaleng Mofokeng, responsabile del Nalane for Reproductive Justice, spiega perché a suo dire il «lavoro sessuale», dovrebbe essere depenalizzato in tutto il mondo. In breve, gli argomenti esposti da Mofokeng – che cita qua e là i casi di Amsterdam, gli Stati Uniti e il Sudafrica – si possono condensare in un unico pensiero: chi fornisce dietro pagamento prestazioni sessuali, di fatto, non fa che offrire un servizio che può pure avere effetti terapeutici rispetto alle condizioni problematiche di alcuni soggetti.

«Non credo sia giusto», conclude quindi Mofokeng, «che le persone che si scambiano servizi sessuali con denaro siano criminalizzate». Segue un appello affinché le prostitute siano «affermate attraverso la difesa e la protezione dei loro diritti umani all’autonomia, alla dignità, a pratiche giuste del lavoro, all’accesso alle cure basate sull’evidenza». Un appello e un ragionamento che però molti non trovano convincenti. Di certo non convincono Patrick Deneen, professore di filosofia politica all’Università di Notre Dame, secondo cui con questo articolo pro prostituzione legale è la dimostrazione di come «la rivoluzione sessuale continui a ritmo sostenuto».

Sia come sia, il punto che a Teen Vogue pare sfuggire al di là di valutazioni morali ed etiche che pure è impossibile non fare con riferimento alla prostituzione liberalizzata – è uno: il riconoscimento legale del mestiere più antico del mondo ha già dimostrato d’essere fallimentare. Lo prova proprio il caso di Amsterdam. Infatti, nel 2007 – anni dopo la rimozione del divieto sulle “case chiuse”, datata 1° ottobre 2000 – il Ministero della Giustizia olandese commissionò un report, noto come studio “Daalder”, per fotografare la situazione.

Ebbene, dalle 60 pagine di quel documento emersero almeno quattro punti non esattamente positivi, che riportiamo testualmente: 1) nessun «miglioramento significativo delle condizioni delle persone che si prostituiscono»; 2) «Il benessere delle donne che esercitano la prostituzione è peggiorato rispetto al 2001 in tutti gli aspetti considerati»; 3) «È aumentato l’uso di sedativi»; 4) Le richieste di uscita da questo settore sono state numerose eppure solo il 6% dei comuni, di fatto, offre l’assistenza necessaria.

A chi ancora pensasse praticabile l’ipotesi di liberalizzare la prostituzione, ricordiamo inoltre gli esiti di lavoro condotto da ricercatori delle università di Heidelberg, Berlino e Londra i quali, esaminando i dati di 161 Paesi fra il 1996 e il 2003, sono giunti alla conclusione – in realtà non così sorprendente, alla luce di quanto abbiamo già ricordato – che una politica di regolamentazione delle case chiuse comporta e possa comportare un aumento del traffico e dello sfruttamento di persone ridotte a pura merce di scambio.

Ora, alla luce di quanto detto può pure darsi che prostituirsi – come sostiene Teen Vogue – sia un lavoro. Ma questo non significa che ogni lavoro possibile sia un lavoro giusto. Altrimenti dovremmo convenire sull’opportunità di legalizzare la schiavitù… anche se, a ben vedere, quando si parla di legalizzare l’utero in affitto o la stessa prostituzione non è che si vada molto lontani. Ed è impressionante che siano proprio testate rivolte ai più giovani, oggi, a rilanciare messaggi tanto assurdi e immorali. C’è solo da sperare, a questo punto, che i lettori di certe riviste siano più saggi di coloro che in esse scrivono.


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