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Tutta la violenza delle menzogne LGBT: la denuncia del professor Jordan B. Peterson
NEWS 19 Gennaio 2017    

Tutta la violenza delle menzogne LGBT: la denuncia del professor Jordan B. Peterson

Ha fatto il giro del mondo l’articolo che un professore universitario canadese, Jordan B. Peterson, ha scritto argomentando i rischi che la deriva arcobaleno delle società sta portando alla libertà di parola.

Peterson, psicologo clinico e docente di Psicologia presso l’Univeristà di Toronto, se l’è presa in particolare con il Bill C-16, un disegno di legge che propone di criminalizzare le discriminazioni in base “all’identità o espressioni di genere”. Lo psicologo ha pubblicato alcuni video nei quali faceva presente che i contenuti di tale ddl sono «pericolosamente vaghi e mal formulati», così da lasciare appositamente il tutto nelle mani del giudice di turno. Inoltre, si è rifiutato pubblicamente di utilizzare il pronome sessualmente neutro (o “neutral gender”) “Zhe”, ideato per indicare sia uomini che donne, senza rischiare di discriminare chiamando al femminile chi nella sua mente “si sente” un maschietto (e viceversa).

Questi video hanno generato un vero e proprio caos mediatico, con tanto di dimostrazioni e proteste presso l’università in cui lavora Peterson. In una di queste manifestazioni, un ragazzo con evidenti disturbi d’identità ha aggredito una giovane giornalista conservatrice, Lauren Cherie Southern (già nota per essere finita nella bufera dopo aver scandalosamente dichiarato che i generi sono soltanto due: uomo e donna), ed il filmato è stato visto da mezzo milione di persone su Youtube.

Il prof. Peterson ha spiegato che già oggi negli Stati Uniti le autorità locali hanno facoltà di eseguire multe «fino a 250.000$ per chi commette il reato di “mis-genderizzazione”, ovvero il riferirsi alle persone utilizzando parole differenti dai pronomi gender-neutral». Lo psicologo ha elencato diversi problemi pratici nel voler usare questi pronomi, aggiungendo che esiste anche parecchia confusione dato che New York riconosce solo 31 diverse identità di genere (uomo, donna, trans, pangender, genderqueer, drag queen, bi-gender, androgyne ecc.), mentre Facebook ben 58.

Ha inoltre parlato di assurdità, come qualunque persona di buon senso, e di obbligo legislativo ad utilizzare parole che non riflettono la realtà. «C’è una differenza fondamentale tra le leggi che impediscono alla gente di dire parole senza dubbio pericolose e le leggi che pretendono l’uso di parole e frasi politicamente corrette e approvate. Non abbiamo mai avuto leggi di quest’ultimo tipo prima d’ora, almeno non nei nostri paesi. Questo non è il momento di iniziare. Siamo a rischio, legislatori ideologicamente confusi ci costringono a usare parole che non abbiamo scelto liberamente». E in un’altra intervista: «Non riconosco il diritto di un’altra persona a decidere quali parole io debba utilizzare, soprattutto quando queste sono inventate e create da una piccola cricca di persone ideologicamente motivate. Non ci sono abbastanza prove per affermare che l’identità di genere e la sessualità biologica siano aspetti indipendenti. Anzi, in realtà tutte le evidenze suggeriscono che non lo sono affatto».

Quella segnalata dal coraggioso psicologo canadese è la privazione della libertà a cui sempre più ci sta costringendo l’ideologia Lgbt. Si può definire soltanto in un modo: reato d’opinione.