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Un cristiano orientale riflette sui fraintendimenti dell’«oikonomia» nel mondo cattolico
NEWS 26 Agosto 2016    

Un cristiano orientale riflette sui fraintendimenti dell’«oikonomia» nel mondo cattolico

da Traditio Liturgica

 

In questo post accennerò brevemente e chiaramente a certi temi morali che si dibattono da molto nel mondo cattolico. Per mesi nel Cattolicesimo è stata invocata la “misericordia” nei riguardi di chi vive forme diversificate di convivenza dicendo che tali persone sono credenti di “serie B” dal momento che non possono accedere all’eucarestia. Questo e discorsi analoghi sono tediosi e molto pericolosi e dirò il perché. Con tale affermazione s’invoca un’applicazione generosa della legge morale un’oikonomia, per dirla con linguaggio tecnico greco. Se non si applica tale oikonomia si finisce per non essere dei veri cristiani e, qualcuno dice, si è dei rigoristi attaccati alla legge, come i farisei di un tempo.

Per uscire dai rovi di questi discorsi semplicistici e confusi e capire qualcosa di più bisogna interrogare la storia e comprendere le scelte di fondo dell’antico Cristianesimo, assai più rigoroso di quello attuale.

San Paolo ai suoi cristiani chiedeva addirittura di non sposarsi, poiché il Signore, per lui, stava per venire e un matrimonio li avrebbe, almeno parzialmente, distratti dagli inderogabili obblighi della vita cristiana (discorso rigoroso ossia che segue l’akribeia, detto con termine greco). Poi, vedendo la realtà, san Paolo decide di applicare l’oikonomia: “È meglio sposarsi che ardere!”.

Cosa c’indica il passo paolino? Che il fine delle posizioni rigorose di akribeia è quello di mantenere aperto il cammino verso Cristo, di mantenere viva nel cuore del credente la coscienza della realtà di Dio. La legge rigorosa non ha senso per se stessa ma per scrollare l’uomo e indicargli il cammino verso il Cielo, un cammino che non è facile per nessuno. Questo perché l’uomo, lasciato ai suoi soli criteri personali, si autogiustificherebbe subito con quel criterio utilizzato spesso e che si riassume nella seguente frase: “Se ti senti bene così, allora va bene così”.

Per la Chiesa questo discorso, che può essere valido per la psicologia, non ha senso. La Chiesa non si muove con la psicologia (come oramai accade spesso in Occidente) ma con la spiritualità che sta su un piano totalmente diverso e implica vere e proprie percezioni interiori. La seconda non è necessariamente contro la prima ma ha fini e prospettive che la prima non può avere per sua stessa scelta.

Perciò l’oikonomia della Chiesa è sempre fatta per portare all’akribeia o quanto meno per tendere verso essa, l’applicazione larga della legge morale è fatta per portare ad un’applicazione sempre più rigorosa.

Faccio un esempio:

Nel caso di due conviventi non sposati, la Chiesa dovrebbe chiedere ad entrambi se vogliono amare Cristo. Se sì, dovrebbe loro ricordare che questo comporta una sequela che, come per tutti, impone anche dei sacrifici. Cristo accoglie tutti ma non li vuole lasciare come sono e chiede loro pian piano di cambiare per assumere la “veste nuziale” e poter entrare nella stanza dello Sposo (cfr. Mt 22, 1-14 ).

Il cambiamento o metanoia, è prima di tutto un atteggiamento interiore, è l’ammissione che nessun uomo è perfetto dinnanzi a Dio, che la nostra è una natura ferita, passionale, dunque soggetta ad oscurarsi e a chiudersi a Dio.

A quest’atteggiamento interiore e spirituale deve corrispondere pian piano una scelta esteriore e pratica: due conviventi o si sposano regolarmente o rinunciano all’uso della sessualità. Nella Chiesa la sessualità è regolata, non lasciata all’arbitrio o al capriccio personale. Tale regola ha come fine ultimo quello di non oscurare l’animo dinnanzi alle realtà celesti poiché l’uomo nell’abbondanza e nella possibilità di far ciò che vuole si taglia inevitabilmente da Dio finendo per dire a se stesso: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (Lc 12, 19).

Se la scelta della castità non si può fare, anche per umani e ragionevoli motivi, la vita cristiana sarà inevitabilmente sempre piuttosto marginale alla Chiesa (*). Ciò non significa essere di “serie B” o esserne fuori, significa aver scelto da se stessi un luogo in cui stare e in quel luogo Dio aiuterà le persone di buona volontà nella misura a Lui nota e possibile.

Dal mio punto di vista, se i conviventi non hanno rapporti sessuali per un certo tempo, la Chiesa può anche ammetterli ai sacramenti, ma sempre agendo con attenzione. In questo modo è fatta salva l’oikonomia e non si intacca l’akribeia.

Molto differente è il caso che si sta cercando di attuare: partendo dalla constatazione puramente psicologica che l’amore di due conviventi è uguale (o più elevato) all’amore di due persone regolarmente sposate, si dice che esiste una vera e propria ingiustizia a non ammetterli ai sacramenti. Esiste, dunque, chi li vorrebbe ammettere immediatamente e sempre, cosa che si fa già.

Siamo dinnanzi al caso di una oikonomia che uccide l’akribeia: chi fin ora ha seguito la via rigorosa si sentirà tradito dalla stessa Chiesa! Non ci si accorge, per di più, che tale oikonimia, dopo aver ucciso l’akribeia, non può che uccidere se stessa! Infatti, rimosso il valore della conversione, dichiarata de facto l’identica dignità di ogni forma di convivenza (probabilmente vero psicologicamente ma non spiritualmente), appoggiati unicamente su una visione psicologica e non spirituale dell’uomo, si giunge inevitabilmente al detto: “Se ti senti bene così, allora va bene così”. Questo alla lunga può veramente portare all’agnosticismo e all’abbandono di ogni pratica religiosa poiché l’uomo si concepisce autosufficiente, ossia bastante a se stesso.

Credo che in Occidente il mancato dosaggio sapienziale dell’oikonomia, l’ideologica e pregiudiziale condanna senza appello dell’akribeia, la mancanza di una prospettiva spirituale sostituita in gran parte da concezioni psicologiche porteranno alla fine dello stesso Cristianesimo.

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(*) Quest’argomento è spinoso. In un contesto che esalta all’inverosimile la sensualità e la sessualità – fino al punto incredibile da paragonare le relazioni trinitarie a quelle sessuali – risulta quasi impossibile valorizzare la continenza sessuale. In realtà la Chiesa l’ha sempre  valorizzata (come non poche religioni storiche) perché l’uso indiscriminato della sessualità sfibra le energie dell’anima, abbassa o acceca la coscienza spirituale, snerva l’intuito interiore. Il logion evangelico “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” non è pronunciato a caso e non si riferisce neppure ad una semplice condizione ultraterrena, oltrepassata la vita presente. L’intuizione della presenza divina è come l’ascolto del rumore leggero del vento (e anche qui non è un caso che la Scrittura riferisca che la presenza di Dio sta nella brezza – 1 Re 19, 11-13): come sarebbe impossibile sentire il rumore leggero del vento se ascoltassimo musica a tutto volume, così è impossibile intuire la presenza divina in un animo dedito ai piaceri sensuali e disperso nella molteplicità del mondano. Non è dunque un caso che tutte le religioni che coltivino un minimo di spiritualità sostengano la continenza sessuale, cosa alla quale sono chiamati in determinati periodi a praticare pure gli sposi cristiani. Se, viceversa come sta succedendo, quasi un’intera Chiesa perde di vista la spiritualità sostituendola con la psicologia, è inevitabile non capire più la continenza sessuale. La ribellione verso essa finirà per essere addirittura favorita da una concezione della vita legalistica e moralistica, dal momento che pure questa è sganciata da ogni genere di spiritualità ed empeirìa cristiana o equivoca la spiritualità con una concezione religiosa puramente psichica, un sottoprodotto della stessa sensualità dove Dio è un zuccheroso bonaccione mille volte distante dal “Dio sabaoth” della rivelazione biblica.

Inoltre, a ben osservare, la cosiddetta “sessuofobia” e il disprezzo del corpo, atteggiamenti malati che l’Oriente cristiano non conosce e provenienti da una matrice filosofica neoplatonica che ha affascinato il mondo latino medioevale, provengono inizialmente dalla sopraccennata conoscenza spirituale ma poi, con l'idea di migliorarla, l'hanno distorta. Perciò si deve stare ben attenti a non proiettare sulla rivelazione cristiana e sugli scritti paolini questo tipo di concezioni – alcuni dicono che san Paolo era un sessuofobo! – concezioni posteriori e che il mondo biblico era lungi dal condividere.