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Vita sacra e matrimonio come sacramento. Ted Cruz si candida a far dimenticare Barack Obama
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26 Marzo 2015

Vita sacra e matrimonio come sacramento. Ted Cruz si candida a far dimenticare Barack Obama

Quel tipaccio di Ted Cruz, senatore repubblicano della corrente intransigente, non ha bisogno di “comitati esplorativi” né di riti preparatori per annunciare la corsa alla presidenza. Bastano un tweet (“Corro per la presidenza e spero di ottenere il vostro sostegno!”), un video di trenta secondi e, la mattina successiva, un discorso alla Liberty University della Virginia per buttarsi direttamente nella mischia. Tentennare o dilungarsi nei preparativi non è nella natura di questo animale politico di 44 anni con capelli ingellati, credenziali ispaniche esibite già nel cognome, formazione nell’Ivy League e quel grado d’insolenza necessario per chi ambisce a rappresentare i “conservatori coraggiosi”.

Negli anni l’ala destra dei repubblicani ha provato a rivendersi sotto diversi slogan ed etichette, dal Tea Party d’ispirazione libertaria ai “conservatori costituzionali” di Michele Bachmann, che invocava i padri fondatori come unica sorgente del suo credo politico. Cruz li chiama i “coraggiosi”, e gli impliciti idoli polemici sono i conservatori pavidi, moderati, d’establishment, inclini al compromesso e sempre alla ricerca del modo migliore per rifarsi una verginità. In questo schema, Jeb Bush, tipo politico duttile e compassionevole, che dice addirittura cose di sinistra quando si tratta di educazione e immigrazione, è la personificazione dell’avversario da battere alle primarie.

Cruz è un senatore di primo mandato eletto in Texas, ma per il lancio della campagna ha scelto una platea di diecimila studenti di un’università evangelica  conservatrice, cosa che sottolinea la ricerca di una connessione con la destra religiosa, elettorato socialmente conservatore dove raccolgono consensi candidati potenziali come Mike Huckabee e Rick Santorum, mentre il brand libertario ed eticamente anarchico di Rand Paul trova più difficoltà.

Fra i ragazzi del pubblico ce n’erano a decine con la maglietta di Paul, che annuncerà la sua candidatura il 7 aprile, e Cruz il coraggioso non teme il confronto con il collega del Kentucky, ma cerca di giocare d’anticipo per occupare una fetta d’elettorato contendibile in quella zona grigia dove il turboliberismo incontra una visione tradizionale della società. Per questo il suo discorso è partito dalla famiglia, dal padre cubano fuggito dal regime di Castro fino ad arrivare alle figlie e alla moglie Heidi, bionda manager di Goldman Sachs, vicenda personale che facilmente si trasforma in grande storia di valori americani.

Nemmeno i suoi fan più accorti si aspettavano che usasse sul palco il refrain di John Lennon “imagine” per evocare l’America che potrebbe essere e non è; e la colpa è soprattutto di Barack Obama: immaginate un’America senza Obamacare, e senza Common Core (i programmi educativi standard osteggiati dai repubblicani intransigenti e sostenuti da Jeb), “invece di uno stato federale che lavora per distruggere i nostri valori, immaginate uno stato federale che lavora per difendere la sacralità della vita umana e per difendere il sacramento del matrimonio”.

Nel suo primo discorso da candidato presidenziale si è soffermato sul trittico Dio-patria-famiglia più di quanto abbia fatto in mesi di apparizioni e pirotecnici interventi parlamentari. Per provare a creare l’America che Cruz immagina servono almeno 40 milioni di dollari (questo l’obiettivo minimo per una corsa alle primarie degna di questo nome) e soprattutto occorre una “nuova generazione di conservatori coraggiosi per restaurare la grandezza dell’America”; e io, ha detto Cruz, “sono pronto a guidare questa battaglia”.

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