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14.12.2024

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«Viviamo circondate da missili e armi, ma il nostro scudo è il Tabernacolo»
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21 Settembre 2023

«Viviamo circondate da missili e armi, ma il nostro scudo è il Tabernacolo»

Corre lungo il 38esimo parallelo la zona demilitarizzata che dal 1953 divide artificiosamente la penisola coreana in due parti che hanno poi dato vita a nord, alla Repubblica Popolare Democratica Coreana (Corea del Nord) e a sud alla Repubblica di Corea (Corea del Sud). La Corea del Nord, isolata dal regime tirannico che la governa dal 1948 e la Corea del Sud, ben integrata e aperta al resto del mondo.Dato che la guerra in Corea non è mai ufficialmente terminata, a costeggiare entrambi i lati del suddetto confine ci sono truppe militari. Ciascuna della parti è incaricata di proteggere il fronte da eventuali attacchi.

È qui che silenziosamente si accresce la fede forte di un gruppo di donne che adorano il Santissimo Sacramento speranzose di riunirsi un giorno con l’altra metà dell’amato Paese, «Preghiamo guardando la Corea del Nord, mettiamo il Tabernacolo in quella direzione».

Sono le Suore della Visitazione che vivono a pochi chilometri dal confine con la Corea del Nord in mezzo alle basi militari. Intervistate dalla rivista spagnola Misión hanno raccontato la loro importante missione di preghiera per la pace: «Le famiglie si sono rotte, padre al nord e madre al sud, fratelli separati da un muro e una ferrea linea militare. Alcuni sono morti così, senza potersi vedere di nuovo», dice suor Ángela Mercedes. «Siamo nel territorio della Corea del Sud, ma a pochissimi minuti dalla Corea del Nord. Il nostro monastero è circondato da basi militari e i cavi telefonici dell’esercito passano sopra la nostra casa. Ascoltiamo le prove militari dalle nostre stanze, è una calma tesa, ma ci siamo già abituati. Viviamo in cima a una montagna ed è un luogo privilegiato», racconta la religiosa colombiana, nativa di Manizales. La nascita di questo convento è legata al desiderio di san Giovanni Paolo II di portare Dio laddove non c’era amore e fede. Ad accogliere la sua richiesta sono state questa suora e altre quattro sorelle, arrivate in Corea nel 2005, esattamente l’anno in cui il Pontefice morì. Oggi ci sono dieci sorelle: sette colombiane e tre coreane.

Alla precarietà economica iniziale – non potevano permettersi né riscaldamento, né tantomeno aria condizionata – si aggiungevano le difficoltà linguistiche: «È molto complicato. Stavamo andando all’università per formarci. Quando ti parlano tutto in coreano, che è così diverso dallo spagnolo, ti si rompe la testa. Ho iniziato a scrivere con scarabocchi incomprensibili e ho avuto una crisi interna molto forte», racconta suor Angela. Ma a consolarle erano già pronte le parole di un padre francescano: «Non c’è missionario che non versi lacrime ad un certo punto». E sulla base di sforzi e di alcune lacrime hanno imparato il coreano. Pochi soldi, una lingua difficile e povertà. Un giorno un padre coreano le andò a trovare chiedendo loro di che cosa si nutrissero, «non rispondendo è andato al nostro frigorifero, l’ha aperto e ha visto che non c’era niente.

Rimase spaventato e cominciò ad aiutarci. Ci mandava frutta, verdura e carne. Eravamo molto poveri», racconta la suora colombiana, «quando finalmente stavano iniziando ad adattarsi, gli fu detto che dovevano lasciare Busan, che il vescovo non aveva intenzione di aprire nuove comunità. È stato un colpo». Così la missione le ha scomodate ulteriormente e sono dovute passare dal caldo estremo di Busan al freddo che congela vicino al confine: «Ci avevano detto che c’era un vescovo gesuita che poteva accoglierci lì, ma che era una diocesi molto povera e non avremmo avuto praticamente nulla. Al che ho risposto: “Se la diocesi è povera e noi siamo poveri, ci capiremo molto bene”. E lì che ce ne siamo andati», prosegue nel racconto.

Nel 2014 iniziano a costruire loro stesse una casa, il monastero situato in cima a una montagna presso Jeongo PUE, che ancora oggi è in fase di costruzione. «Nessuno sa cosa succede all’interno di quel Paese, ecco perché preghiamo ogni giorno per loro. […] Abbiamo deciso di collocare il tabernacolo guardando la Corea del Nord. Preghiamo guardando direttamente Pyongyang. Dico al Signore: “Mio Dio, dietro di te hai i tuoi figli nordcoreani, non lasciarli soli, che la Tua luce invada i cuori di quei leader”». Le dieci sorelle sono tutte molto devote a sette donne martiri spagnoli, le beate sorelle della Visitazione, fucilate nel 1936:«Hanno dato la loro vita letteralmente e noi siamo molto legate a loro. Abbiamo portato le sue reliquie in Corea e abbiamo esteso la sua venerazione qui. Abbiamo già visto molti miracoli». A sostenere questa devozione raccontano di come più di un bambino sia nato per loro intercessione e che ci sono state guarigioni inspiegabili.

I momenti di difficoltà non mancano, sopratutto per le sorelle più giovani, «qui accanto abbiamo fratelli che stanno attraversando grandi difficoltà. Se pensiamo a questo, le nostre piccole difficoltà non sono niente», assicura suor Angela. La felicità che traspare dai loro volti garantisce che questa loro vita in movimento, missionaria, senza accomodarsi mai, bensì adattandosi sempre alla volontà di Dio, fa pregustare loro il Cielo già qui in Terra. A concludere l’intervista viene domandato a suor Angela se immagina un giorno prima di morire di calpestare la Corea del Nord. «Non tentarmi», ride, «mettere piede in Corea del Nord prima di morire è un mio sogno. Dicono che l’unità totale sia quasi impossibile, ma per Dio non c’è niente di impossibile. Ci sono molti martiri da entrambi i lati, e prima o poi la luce entrerà nei cuori. Perché queste persone [i leader nordcoreani, ndr] sono convinte che la loro menzogna sia la verità. Speriamo che scoprano che la verità è Gesù. Noi passiamo la giornata a pregare per loro. È emozionante sapere che stai dando la tua vita per qualcosa del genere». (Fonte foto)

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