IL VANGELO DEL GIORNO
Se lo stato ti mette in vendita
31 Gennaio 2014 - 06:01
Giovane donna in Germania perde il sussidio di disoccupazione perché rifiuta di prostituirsi, attività legale in quel Paese. Ecco cosa succede quando si cancella il diritto naturale.
La signorina si rivolge ad avvocati per difendere il suo diritto al sussidio, ma la risposta è invariabile. In Germania la prostituzione è stata legalizzata da due anni. Ciò significa che i padroni dei bordelli - che pagano le tasse sui profitti della loro attività e l'assicurazione malattia alle loro "impiegate" - hanno diritto a rivolgersi agli uffici di collocamento per la ricerca del personale di cui hanno bisogno. Non meno dei dentisti che cercano un'infermiera, o degli uffici che cercano dattilografe. Quanto a lei, la riforma della previdenza parla chiaro: ogni donna sotto i 55 anni che sia stata disoccupata per più di un anno, se non accetta il lavoro offerto dal Collocamento, perde l'assegno di disoccupazione.
Storia altamente istruttiva. Siamo così abituati a credere che la giustizia consista nelle leggi "positive" (cioè scritte dallo Stato) da non capire più che cosa sia il diritto "naturale". Dobbiamo ricorrere a un esempio antico, quello di Roma. In 500 anni, Roma varò solo 300 leggi scritte. Il diritto - il celebre diritto romano, usato in Europa fino alla Rivoluzione francese, e ancora in Inghilterra col nome di "common lavv" - si faceva con decisioni giudiziarie. Nel caso concreto infatti è sempre possibile al giudice stabilire chi fra due litiganti ha torto, e chi "diritto" o ragione. Anche senza ricorrere a leggi scritte e approvate dallo Stato. Bastano la ragione, il buonsenso, e quel senso del giusto iscritto nel cuore dell'uomo, quando è disinteressato (non è parte in causa). La guida del giudice era la "libera volontà": in caso di un testamento contestato, cercava di capire quale fosse stata la volontà del defunto; in caso di litigio per una vendita (un cavallo malato venduto per sano, una casa con difetti occulti) anzitutto cercava di stabilire quale fosse la libera volontà dei due contraenti, al momento del contratto. Insomma la "legge scritta", per il giudice romano, era il testamento o il contratto: ossia la volontà dei privati. In altre parole, era la loro libertà che il giudice accertava. Il giudice poteva introdurre un nuovo diritto solo quando era appoggiato dalla coscienza giuridica attiva del popolo, ossia dal suo senso di "giustizia". Così ad esempio le arcaiche Leggi delle XII Tavole prevedevano la legge del taglione, o la vendita a pezzi del debitore: molto presto non furono più applicate (benché le leggi non fossero mai abrogate) dal momento che il popolo le sentiva ormai "ingiuste". Così il diritto "evolveva", lentamente, agganciato al senso di giustizia della società.
Col diritto naturale, la società era libera dalle leggi. La maggior parte della vita, finché non nasceva un problema (un litigio), non riguardava il diritto. Oggi è il contrario: ogni aspetto delle relazioni sociali è regolamentato fino al dettaglio da minuziose leggi scritte, che è il carattere dello stato poliziesco (il primo grande codice scritto fu di Napoleone). Ma c'è di peggio. Nel "positivismo giuridico" oggi imperante, la legge scritta è l'ultima istanza. Non c'è possibile appello in nome del buon senso, della libertà personale, della coscienza morale e nemmeno del senso di giustizia del popolo. Così la signorina di Berlino non può appellarsi contro la legge che le toglie il sussidio di disoccupazione se non accetta il mestiere "legale" di prostituta, perché l'istanza della moralità e della coscienza non può essere invocata come superiore alla legge scritta.
Bibliografia
Giovanni Paolo Il, Enciclica Verltatls splendor, 6 agosto 1993.
Reginaldo Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo
In San Tommaso d'Aquino, Series Civls 15, Edizioni Studio Domenlcano, 1999.
IL TIMONE – N. 42 - ANNO VII - Aprile 2005 pag. 10










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