Giovedì 23 Ottobre 2025

Consulta, contro l’eutanasia due malati chiedono più cure

Se si aprisse alla “dolce morte” passerebbe l’idea che ci siano vite sopprimibili - denunciano i due cittadini

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Il prossimo 8 luglio la Corte Costituzionale sarà chiamata, di fatto, a pronunciarsi sull’eutanasia. Lo hanno reso noto molti organi di informazione e anche il Timone ha illustrato con dovizia di dettagli di che procedimento di tratti. Quello che invece su questa causa – centrata sul giudizio di legittimità dell’articolo 579 Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente, vietando l’eutanasia - non era ancora emerso e che siamo lieti di poter raccontare è che chiederanno di essere ascoltate anche delle voci controcorrente. Sono quelle di due cittadini malati, una signora di Roma e un signore di Perugia, i quali - assistiti dagli avvocati Mario Esposito, del foro di Roma, e Carmelo Leotta, del foro di Torino – in sostanza chiedono alla Corte Costituzionale di poter di intervenire in giudizio con uno scopo preciso: quello d'illustrare perché il divieto penale di qualsiasi intervento del terzo soppressivo della vita dei malati che pur ne facciano richiesta, secondo loro, non solo non costituisca ostacolo alcuno, ma sia una garanzia. Per questi due cittadini, infatti - che intendono con la loro iniziativa dare voce ad un gran numero di persone malate che raramente, si sa, hanno rappresentanza mediatica -, una eventuale dichiarazione di incostituzionalità del citato articolo 579 non aprirebbe alcuno spazio di libertà. Al contrario, ciò altro non farebbe che minare le tutele e le garanzie di quanti, pur versando in condizioni non semplici – anzi, proprio per questo -, vogliono continuare ad essere tutelati e garantiti in modo adeguato dallo Stato, cosa che potrebbe in futuro non accadere più. Se difatti fosse malauguratamente accolta dalla Consulta la questione di legittimità portata all’attenzione della Corte - e quindi fosse consentita l’eutanasia -, le conseguenze sarebbero gravi sotto molteplici punti di vista. Anzitutto, verrebbe violato il principio di inviolabilità della vita consentendo ad alcuni di privare impunemente altri del bene fondamentale da cui dipendono tutti gli altri diritti. In secondo luogo, una eventuale apertura alla “dolce morte” vedrebbe violato, oltre al poc’anzi citato diritto alla vita, pure quello dei malati di essere eguali agli altri. Questo perché uno lo Stato che consentisse ai medici di sopprimere – sia pure su richiesta - la vita di chi è affetto da gravi patologie e sofferenze, impedendo lo stesso atto nei confronti dei sani, ammetterebbe un concetto gravissimo: che la vita dei malati vale meno di quella degli altri. Verrebbe così ad instaurarsi non solo un regime d'aperta discriminazione, ma anche una situazione che finirebbe col togliere tutele ad una fascia di cittadini già svantaggiata in ragione della propria vulnerabilità. Insomma, si sancirebbe che esistono vite di serie A e vite di serie B. E ciò sarebbe inaccettabile. Va detto che questa non è in assoluto la prima volta che dei malati contrari all’ampliamento di procedure di morte medicalmente assistita intervengono davanti alla Corte costituzionale. Infatti, il 26 marzo scorso la Corte Costituzionale aveva già ammesso in giudizio quattro malati che, affetti da patologie irreversibili, avevano ribadito il loro “no” alla abolizione del sostegno vitale dai requisiti di non punibilità del suicidio assistito e, quindi, ad una sua estensione. In quel caso, la loro ammissione in giudizio era stata preziosa per fornire alla Consulta gli elementi per arrivare poi ad un pronunciamento - la sentenza 66 del 20 maggio 2025 – con cui la Corte non solo non ha esteso le ipotesi in cui l’aiuto ad esso non sia punibile, ma ha pure affermato a chiare lettere il dovere stringente dello Stato di garantire sostegno sociale e sanitario al malato. Non resta che sperare, essendo trascorse poche settimane da quel giudizio, che la Corte Costituzionale mantenga una posizione ferma. Anche se la parziale apertura all’aiuto al suicidio assistito sancita con un’altra sentenza, la 242 del 2019, fa temere che anche stavolta “a certe condizioni”, la Consulta possa aprire alla “dolce morte”. Staremo a vedere. Di certo, se fossero ammessi in giudizio due malati che chiedono sia d'evitare l’eutanasia sia più cure, ecco, ciò non potrebbe lasciare indifferenti i giudici della Corte. ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!

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