I grandi media semplicemente ignorano il dramma, ma non è la prima volta. Ci sono abituati, ormai, i cristiani della Siria ad essere dimenticati. E questo nonostante persecuzioni e attentati sempre più feroci. Il 22 giugno scorsa una bomba suicida ha squarciato la pace in una chiesa greco-ortodossa di Dweila, sobborgo di Damasco, uccidendo oltre 20 fedeli e ferendone decine durante la funzione liturgica. Non si trattava però di un episodio isolato, bensì dell’ultimo capitolo nella lunga tragedia che vede coinvolti i cristiani siriani: un popolo ridotto a poche centinaia di migliaia, dopo essere stato protagonista della storia del Paese per oltre millenni.
Dopo la caduta del regime di Assad nel dicembre 2024, come noto, il potere è finito nelle mani di Ahmed al‑Sharaa, già comandante di Hay’at Tahrir al‑Sham (HTS): un gruppo di impronta jihadista, con legami accertati ad al‑Qaida. Benché si sia presentato al mondo come “moderato” - indossando abito e cravatta, subito sfoggiati al posto della tuta mimetica riposa in un cassetto assieme al mitra - e avesse promesso una «governance inclusiva» per le minoranze religiose, i fatti raccontano una realtà ben diversa. Le dinamiche di imposizione islamica si manifestano infatti in azioni concrete; e gli esempi si sprecano.
Nel nord-ovest, per esempio, un gruppo di sicurezza affiliato al nuovo governo ha sfilato armato in un paese cristiano - Maharda - scandendo slogan su Maometto, in un chiaro messaggio intimidatorio. A dicembre, ad Aleppo, miliziani islamisti avevano bruciato un albero di Natale, provocando la protesta della comunità cristiana. Attivisti musulmani - si dice affiliati al potere - si aggirano sistematicamente con megafoni nei villaggi e quartieri cristiani, invitando alla conversione. Più di un osservatore parla ormai senza pudore di «inizio della fine» per i cristiani di città come Aleppo, dove una volta vivevano decine di migliaia di fedeli, ora ridotti a poche migliaia.
Del resto, l’ampiezza e l’intensità delle violenze commesse appaiono impressionanti. Secondo fonti umanitarie, dal 7 marzo scorso oltre 1.300 persone – molti cristiani, ma anche alawiti e drusi – sono state uccise in attacchi riconducibili a HTS, spesso senza che vi fosse un adeguato intervento delle forze governative. Il vescovo Yulian Murad, dalla diocesi di Homs, parla apertamente di «impunità sistematica», mentre le forze di sicurezza restano in molti casi indifferenti alle aggressioni, rendendo la persecuzione meno un’eccezione e più una politica di Stato.
Fatto sta che i numeri della decimazione dei cristiani siriani sono inoppugnabili. Secondo Open Doors, i cristiani siriani sono oggi circa 579.000 (2,4 % della popolazione) – ma le cifre risalgono alla fine del 2024, prima degli eventi recenti. Secondo altre stime, dal 2011, la componente cristiana sarebbe precipitata da 1,5 milioni a circa 300.000. Solo ad Aleppo si è passati da 250.000 a poco più di 30.000 abitanti cristiani. Un europarlamentare greco ha riferito di circa 7.000 vittime tra cristiani e alawiti nei mesi immediatamente successivi al rovesciamento di Assad.
Dinnanzi a questo quadro, una cosa appare chiara quanto sta accadendo in Siria non sono conseguenze di instabilità politica. Si tratta invece dell’attuazione di una persecuzione crescente che si esercita non solo con la violenza, ma anche con la cancellazione sistematica della presenza cristiana. Non si può quindi ribattere nulla a chi parla di una «sempre più pericolosa esistenza del cristianesimo nella sua antica patria». Si più semplicemente prendere atto della realtà e sperare che la comunità internazionale – che pure è già alle prese con molti conflitti (questa è la sola concessione che può essere fatta, benché i cristiani siriani fossero ignorati pure prima) – faccia qualcosa. Prima che sia troppo tardi. (Foto: Pexels.com/Pexels.com)
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