Giovedì 23 Ottobre 2025

La Consulta ferma (per ora) l'eutanasia ma obbliga il Servizio sanitario nazionale alla morte assistita

La Corte Costituzionale ieri ha di fatto affossato una parte del ddl sul “fine vita” del centrodestra, affermando il diritto della persona «di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito»

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Non si può (ancora) dire che l’articolo 579 del Codice penale, che persegue l’omicidio del consenziente – quindi l’eutanasia – sia incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 132/2025 depositata ieri, che ha luci ed ombre. Vediamo perché, partendo dalla questione su cui la Consulta si è espressa, originatasi dalla vicenda di “Libera”, pseudonimo di una donna toscana di 55 anni, completamente paralizzata dalla sclerosi multipla, che ha ottenuto accesso al suicidio assistito – in quanto rispondente ai requisiti di accesso alla pratica fissati dalla stessa Consulta con il pronunciamento 242 del 2019, la cosiddetta sentenza Cappato - ma che, a causa delle sue condizioni, non riesce ad attuarlo autonomamente nelle modalità desiderate e, quindi, aveva chiesto l’eutanasia. Dato che però l’eutanasia è una pratica non prevista dall’ordinamento italiano – che, come noto, punisce l’omicidio del consenziente ai sensi del già citato articolo 579 del Codice penale -, il Tribunale di Firenze, con una ordinanza datata 30 aprile 2025, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, chiedendo alla Corte se il divieto assoluto dell’omicidio del consenziente sia compatibile con i principi costituzionali, o se debbano essere previste eccezioni. Ma la Consulta - come precisato in un suo comunicato stampa - con la sentenza 132 ha dichiarato «inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione». Onde evitare ingenui entusiasmi, vanno tuttavia ben specificate le motivazioni del verdetto, che non è entrato nel merito. Infatti la Consulta si è limitata a dire che «il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». Significa che in realtà non era stato ben chiarito dal Tribunale di Firenze se la signora “Libera” avesse o meno avuto accesso ad un dispositivo per darsi la morte. Infatti, sui media si – con pochissime eccezioni – era riferito del fatto che la signora non poteva farsi la morte autonomamente, e quindi aveva richiesto l’eutanasia. In realtà, la questione di base della vicenda era un po’ più particolareggiata. Ad evidenziarlo alla Consulta, nei loro interventi – risultati decisivi - in rappresentanza di due malati contrari all’eutanasia, sono stati gli avvocati Mario Esposito del foro di Roma e Carmelo Leotta del foro di Torino. I due legali, infatti, hanno portato all’attenzione della Corte Costituzionale come, diversamente da come riferito da più parti, la ricorrente avrebbe non solo ottenuto la possibilità del suicidio assistito, ma – cosa non emersa sui media - anche due opzioni da parte della commissione medica: per via orale o per via endovenosa. Solo che “Libera” aveva rifiutato la via orale e si è trovata nell’impossibilità di accedere alla pompa infusionale azionabile con la bocca non risulterebbe disponibile. «Il punto qui è», aveva difatti dichiarato l’avvocato Leotta, «se la commissione medica e lo stesso medico curante della ricorrente hanno detto che il suicidio assistito sarebbe praticabile anche con l’assunzione orale di una sostanza, si può affermare che diritto di autodeterminazione terapeutica è stato violato?». Proprio su questo aspetto - cioè sulla effettiva indisponibilità di una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca o gli occhi – la Corte Costituzionale ha effettuato un richiamo critico all’ordinanza del Tribunale di Firenze attraverso la quale era stata investita dell’intera questione. La Consulta, infatti, «ha rilevato che l’ordinanza di rimessione si è espressa sul punto con esclusivo richiamo all’interlocuzione intercorsa con l’azienda sanitaria locale, essendosi il giudice a quo arrestato a una “presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale”, mentre avrebbe dovuto coinvolgere “organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale”». Dunque gli interventi degli avvocati Esposito e Leotta «sul difetto di motivazione» sono davvero risultati decisivi. Un'ulteriore nota – non positiva purtroppo – riguarda il fatto che, con la sentenza di ieri, la Consulta ha non solo ribadito il diritto al suicidio assistito, ma ha anche sottolineato come il Sistema sanitario nazionale debba collaborare ad esso, parlando del diritto di una persona «di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego». A tanto il Servizio sanitario nazionale è tenuto – sottolinea la sentenza – «nell’esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili». Sono parole, queste ultime, che di fatto smantellano anticipatamente uno dei pochi paletti – se non l’unico – presente nel disegno di legge sul cosiddetto “fine vita” che la maggioranza di centrodestra ha faticosamente messo assieme, nel tentativo da un lato di dare attuazione alle sentenze sul suicidio assistito emesse già dalla stessa Consulta (a partire dalla 242 del 2019), e dall’altro, di attenuare il dilagare della pratica mortifera. Non a caso già ieri il senatore Bazoli (Pd) ha invitato a «cambiare» il ddl in questione, alla luce del verdetto di ieri. Dunque bene ma non benissimo, la sentenza n. 132/2025. Perché se è vero che non ha aperto all’eutanasia, è altrettanto vero che ha rafforzato non poco, sottolineandolo apertis verbis, il diritto al suicidio assistito. E di tutto ciò non si potrà non tenere conto, d’ora in poi, nel dibattito. Da parte loro, i citati avvocati Mario Esposito e Carmelo Leotta, hanno ieri anzitutto manifestato «soddisfazione per la decisione». La Corte, infatti, hanno scritto in una nota i due legali, «non solo ha dichiarato la questione inammissibile e non ha introdotto l’eutanasia in Italia, ma nella sua decisione ha tenuto in alta considerazione i rilievi fatti dagli stessi malati che, a seguito del suicidio assistito del Sig. Daniele Pieroni, avvenuta in Toscana per via endovenosa, avevano rappresentato con le memorie difensive depositate alla Corte, che fosse del tutto incerta e non pienamente verificata l’indisponibilità della pompa infusionale per fare il suicidio, circostanza di fatto su cui si fondava la questione di legittimità costituzionale, oggi dichiarata inammissibile». Ciò nonostante, Esposito e Leotta non hanno mancato di esprimere «grave preoccupazione» per l’affermazione contenuta nella sentenza depositata, secondo cui la persona che intenda  accedere alla morte medicalmente assistita sarebbe titolare di un «diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito». Una affermazione, hanno rimarcato i due legali, che era «assente nelle sentenze n. 242/2019, 135/2024 e 66/2025 della Corte Costituzionale» e che risulta «in evidente contraddizione con le disposizioni della legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che, per legge, "è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio"». In effetti, la contraddizione c'è tutta. Ed è molto grave. (Foto: Imagoeconomica) ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!

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