Nonostante siano cresciuti in un mondo secolarizzato e sempre più ostile alla fede, la religione non sembra essere fuori moda tra i giovani della generazione Z (i nati, cioè, tra il 1995 o 1997 e il 2010 o 2012, in base alle diverse definizioni). Anzi, sembra che sempre più “zoomer” si interessino alla spiritualità, quantomeno all'estero. È quanto emerge dal progetto “Footprints: Young People, Faith and Religious Experience”, fatto dalla Pontificia università della Santa Croce in collaborazione con altri otto atenei di tutto il mondo. Lo studio completo sarà pubblicato ad ottobre ma alcuni risultati sono già stati presentati il 24 luglio, pochi giorni prima dell'inizio del Giubileo dei giovani.
Un tema, quello dell'andamento della fede a livello sociale, seguito da vicino anche dal Timone, che un paio d'anni fa ha dedicato al tema degli italiani e la fede un numero della rivista cartacea (a cui è possibile abbonarsi con un'offerta speciale che termina domani: abbonamento annuale plus – sempre a casa tua entro il 10 del mese - a 49,90 euro, anziché 55,90, e l’abbonamento annuale a 39,90 euro, anziché 45) I giovani tra i 18 e i 29 anni intervistati, quasi 5000, hanno risposto a un questionario da 68 domande e vengono da Italia, Spagna, Regno Unito, Argentina, Messico, Filippine, Brasile e Kenya.
La crescita della religiosità, valutata intorno al 35%, è stata misurata sia secondo la percezione degli intervistati che secondo l'effettiva crescita rispetto a studi precedenti in quei Paesi. La crescita è trainata soprattutto da paesi non occidentali, come Kenya, Filippine e Brasile, dove supera il 40%, ma anche in Europa sembra esserci un aumento silenzioso. La pecora nera, purtroppo, è proprio l'Italia, l'unico degli otto Paesi in cui non è stato rilevato nessun cambiamento. Questo non corrisponde un minor numero di giovani religiosi, ma certo non è un segnale positivo.
Il sondaggio non si limita alla distinzione credenti-non credenti: nel 34% che ha dichiarato di non credere in Dio, ad esempio, si distingue tra chi è indifferente alla questione, chi credeva ma ha lasciato la fede e chi è “in cerca” di Dio, sorprendentemente la porzione maggiore, anche più di quelli che si definiscono semplicemente atei e agnostici. Il 48% dei non credenti prega almeno occasionalmente, il 42% crede in un aldilà, il 32% riconosce che l'appartenenza a una comunità religiosa aiuta a superare le difficoltà della vita e il 37% pensa che i credenti riescono ad affrontare meglio la morte e la sofferenza. Un segnale positivo che testimonia una certa apertura diffusa alla trascendenza e una scarsa percentuale di atei “militanti” tra i giovani.
Certo anche tra i cattolici (a cui erano riservate delle domande specifiche) la situazione è più complessa e non in senso positivo. La buona notizia è che il 12% dei giovani cattolici va a messa ogni giorno e c'è un forte senso di identità religiosa. La cattiva è che una buona parte, se non la maggioranza dei cattolici, ignora o è in disaccordo con la dottrina della Chiesa: il 54% ritiene che la Bibbia non contenga la rivelazione divina, ma solo saggezza umana (anche se girando la questione il 93% ammette che contiene delle verità rivelate da Dio), per più del 60% non è necessaria la Tradizione per leggere e comprendere le Scritture, per il 69% non serve andare a messa per essere buoni cristiani, per il 47% il matrimonio “non aggiunge nulla all'amore tra due persone” e per il 73% non c'è un modo giusto o sbagliato di vivere la sessualità.
Sono risultati che migliorano leggermente tra chi è più praticante, ma che mostrano una confusione dottrinale di fondo, sintomo anche di un'educazione religiosa che trascura il tema. La crescita della spiritualità è comunque un segnale tutto sommato positivo, che i ricercatori approfondiranno per trovare le cause. Una, azzardiamo a dire, l'ha trovata Sant'Agostino: “Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”.
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