Domenica 26 Ottobre 2025

Papa: «La nostra speranza è Gesù»

Leone XIV nella messa conclusiva del Giubileo dei giovani: «Cos'è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Comprare, ammassare, consumare non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle «cose di lassù»

papa messa finale giovani
Nell'omelia pronunciata durante la messa conclusiva del Giubileo dei giovani, Sua Santità Papa Leone XIV ha esortato i giovani di tutto il mondo a trovare la vera felicità e il senso profondo della vita non nell'accumulo di beni materiali, ma in una relazione autentica con Gesù Cristo. L'evento, culmine di giorni di incontri, condivisioni ed esperienze significative, ha visto il Pontefice richiamare con forza l'attenzione dei presenti sul bisogno di andare oltre le superficialità del mondo per abbracciare un orizzonte di speranza che solo la fede può offrire.

Il richiamo ai discepoli di Emmaus: un percorso di riscoperta

L'omelia ha preso le mosse dall'esperienza dei discepoli di Emmaus, un'immagine potente per descrivere il cammino di fede. "Possiamo immaginare di ripercorrere, in questa esperienza, il cammino compiuto la sera di Pasqua dai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35): prima si allontanavano da Gerusalemme intimoriti e delusi; andavano via convinti che, dopo la morte di Gesù, non ci fosse più niente da aspettarsi, niente in cui sperare," ha affermato il Papa. "E invece hanno incontrato proprio Lui, lo hanno accolto come compagno di viaggio, lo hanno ascoltato mentre spiegava loro le Scritture, e infine lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane. I loro occhi allora si sono aperti e l'annuncio gioioso della Pasqua ha trovato posto nel loro cuore." Questo parallelismo è servito al Pontefice per sottolineare come l'incontro con il Risorto sia capace di trasformare radicalmente l'esistenza, illuminando "i nostri affetti, desideri, pensieri." È un invito a riconoscere la presenza di Cristo anche nei momenti di smarrimento e delusione, permettendoGli di riaccendere la speranza nei cuori.

La fragilità umana e la sete di infinito

Un passaggio particolarmente toccante ha riguardato la riflessione sulla finitezza umana, ispirata dal Libro del Qoelet e dal Salmo Responsoriale. "La prima Lettura, tratta dal Libro del Qoelet, ci invita a prendere contatto, come i due discepoli di cui abbiamo parlato, con l'esperienza del nostro limite, della finitezza delle cose che passano (cfr Qo 1,2;2,21-23); e il Salmo responsoriale, che le fa eco, ci propone l'immagine dell'«erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca» (Sal 90,5-6)." Queste immagini, pur "forti, forse un po' scioccanti," non devono generare paura. Al contrario, la fragilità è parte integrante della nostra meraviglia. Il Papa ha utilizzato la metafora dell'erba per spiegare la natura della vita: "Pensiamo al simbolo dell'erba: non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, e però al tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante i mesi gelidi dell'inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme sotto terra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori." Questo dinamismo della natura si riflette nell'essere umano: "Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un'esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell'amore." Da qui l'insaziabile "sete grande e bruciante" di un "di più" che le realtà terrene non possono soddisfare. "Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell'incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20)."

Sant'Agostino: l'inquietudine come segno di vita

Il Pontefice ha richiamato le parole di Sant'Agostino, la cui intensa ricerca di Dio è un esempio luminoso per i giovani di oggi. Sant'Agostino si chiedeva: «Qual è allora l'oggetto della nostra speranza […]? È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l'oro, l'argento, l'albero, la messe, l'acqua […]? Queste cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose» (Sermo 313/F, 3). E concludeva: «Ricerca chi le ha fatte, egli è la tua speranza» (ibid.). Le preghiere di Agostino, "Tu [Signore] eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo […]. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai (cfr Sal 33,9; 1Pt 2,3) e ho fame e sete (cfr Mt 5,6; 1Cor 4,11); mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessiones, 10, 27)," risuonano con la stessa forza oggi. Queste riflessioni sono state collegate dal Papa alle parole di Papa Francesco durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, dove affermava: «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro […]. Non siamo malati, siamo vivi!» (Discorso per l'incontro con i Giovani Universitari, 3 agosto 2023).

La vera felicità nella condivisione e nella carità

Il Papa ha poi posto domande fondamentali ai giovani: "cos'è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?" Le risposte a queste domande non si trovano nel possesso materiale. "La pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito nel Vangelo, da ciò che possediamo (cfr Lc 12,13-21). È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere (cfr Mt 10,8-10; Gv 6,1-13). Comprare, ammassare, consumare, non basta." È necessario "alzare gli occhi, guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi «sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12), di perdono (cfr ivi, v. 13), di pace (cfr Gv 14,27), come quelli di Cristo (cfr Fil 2,5)." Solo in questo orizzonte, ha sottolineato il Santo Padre, si può comprendere appieno che «la speranza […] non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr Rm 5,5).

Gesù, la nostra speranza e la santità come meta

Il fulcro dell'omelia è risuonato con chiarezza: "Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni Paolo II, «che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna» (XV Giornata Mondiale della Gioventù, Veglia Di Preghiera, 19 agosto 2000)." Il Papa ha concluso con un forte appello a rimanere uniti a Cristo, coltivando l'amicizia con Lui attraverso la preghiera, l'adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente e la carità generosa. Ha citato come esempi i beati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, prossimamente canonizzati, invitando i giovani ad "aspirare a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno." Solo così, ha promesso, "vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo." (Foto Ansa)

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