In Francia un sindaco cancella la proiezione del film dopo la protesta di un gruppo di musulmani. La patria della secolarizzazione si scontra col moralismo di matrice islamica. Due facce della stessa medaglia. E a soccombere sono i “valori dell’’Occidente”.
Il cortocircuito estivo va in onda a Noisy-le-Sec, cittadina francese del dipartimento della Senna-Saint-Denis, non lontano da Parigi, dove nella classica rassegna cinematografica estiva organizzata dal comune, la giunta mette in programmazione, due anni dopo la sua uscita nelle sale, Barbie, il film di Greta Gerwig che ha sbancato al botteghino in Italia e non solo. Peccato che il primo cittadino abbia dovuto fare i conti con una ferma opposizione da parte di un gruppo di islamici secondo cui la pellicola «danneggerebbe l'integrità delle donne e promuoverebbe storie di personaggi lesbiche, gay, bisessuali e transgender». Risultato? La tensione è stata tale che è stata cancellata la proiezione. Eh, niente. Fa già un po’ ridere così. O forse piangere. Ma andiamo a fondo.
Del film, abbiamo già parlato quando è uscito. Si apre con un remake di 2001: Odissea nello Spazio in salsa femminista, con bambine che spaccano bambolotti a terra sulle note di Strauss e Margot Robbie con un costume mozzafiato e il tacco 12 che cade dal cielo in tutta la sua avvenenza. Segue il viaggio a Barbieland, universo parallelo tutto al femminile dove a comandare sono le donne e gli uomini, Ken in primis, stanno lì letteralmente spiaggiati e si fanno notare solo per la loro vuota irrilevanza. Il fil rouge è un sermone femminista composto da monologhi sull’autodeterminazione e sul patriarcato. Barbie può essere tutto, insegnante, astronauta, infermiera, cantante, attrice, commessa, avvocato, psicologo – si ricorda – perché lei è donna. Emancipata, empowered, indipendente. Il film sul finale, in realtà, si salva anche, ma solo se si riesce a sopravvivere all’abbiocco.
Il sindaco è Olivier Sarrabeyrouse, espressione del Partito comunista, che solo lo scorso aprile ha pubblicamente espresso vicinanza alla comunità islamica per un omicidio che ha chiaramente definito “di matrice islamofoba” ribadendo che l’islamofobia è un male da combattere. Poco prima – documenta la sua pagina Instagram – in occasione dell’8 marzo, ha fieramente partecipato alle iniziative a sostegno del femminismo e dei cosiddetti diritti civili in salsa occidentale che poi sono esattamente quelli promossi nel film Barbie. Non si deve essere accorto che le due cose stanno difficilmente insieme.
Ma anche il gruppo di islamici che ha protestato non deve essersi accorto di questa strana cosa chiamata realtà: ossia che vivono nel Paese più secolarizzato dell’Occidente, dove il discorso non solo di fede, ma quello morale, è stato spazzato via dalla Rivoluzione in poi, facendo della laicité il nuovo dogma. Se la prendono con un film quando tutto attorno è già un’esibizione permanente della decadenza dei costumi: aborto non solo garantito, ma rivendicato come diritto fondamentale, divorzio e contraccezione elevati a stili di vita di cui essere fieri, ragazzine che si svendono su Onlyfans in nome dell’autodeterminazione, il Pride nuova liturgia laica nazionale, presepi distrutti, velo islamico bandito dalle scuole, crocifissi vietati. In questo contesto, Barbie torna ad essere quasi un giocattolo innocuo. Il meno peggio rispetto allo spettacolo quotidiano che la società francese offre di se stessa.
Ed ecco il cortocircuito è servito. Due mondi opposti che non riescono a convivere ma si incontrano nello stesso paradosso: l'incoerenza. La vera vittima non è Barbie, ma una società che ha perso la ragione, dopo aver buttato fuori la fede. In Gesù Cristo ovviamente. (Foto: Pexels.com)
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