Giovedì 23 Ottobre 2025

Siamo tutti storpi davanti al Mistero

La storia di Ermanno, monaco dell’XI secolo, e le testimonianze di genitori di figli con disabilità al Meeting di Rimini 2025 raccontano che il limite può diventare fecondità

ermanno lo storpio
È possibile vivere il limite come strada per una pienezza? Si può stare di fronte al mistero della disabilità e del dolore senza disperare? Come fare a custodire e far fruttare il tesoro racchiuso nel nostro vaso di creta? A queste domande risponde con la sua vita Ermanno “lo storpio”, la cui figura è al centro di una splendida mostra visitabile al Meeting di Rimini 2025. Miraculum saecoli, ‘meraviglia del suo tempo’. Così viene definito Ermanno, monaco benedettino dell’XI secolo, relativamente al quale don Giussani afferma: «Cosa sia Dio per lui era immensamente più pertinente ed esistenzialmente vissuto che per noi!». Nato in una famiglia nobiliare viene accolto in monastero all’età di 30 anni nell’abbazia di Reichenau grazie all’abate Berno, perché al tempo non era consentito a uno storpio entrare in monastero a causa delle incombenze che la sua presenza avrebbe richiesto ai confratelli. D’altra parte - racconta la Vita Hermanni, fonte autorevole per ricostruirne la biografia - egli riusciva a stare seduto tutto ricurvo con molta fatica. Eppure tra le mura dell’abbazia tedesca incontra Bertoldo, un confratello monaco che lo assiste premurosamente e con amore paziente lo accompagna in tutte le fatiche quotidiane che la sua malattia progressivamente invalidante, assimilabile alla Sla, avrebbe comportato. Nonostante la sua disabilità, Ermanno loda Dio e fa penitenza astenendosi dalle carni insieme ai confratelli. Nella sua cella scrive opere liturgiche e trattati di teoria musicale, ma soprattutto si cimenta in prima persona nella costruzione del primo astrolabio, nonostante le mani rattrappite, affinché si potesse attraverso tale prezioso strumento anche contribuire a determinare in maniera più puntuale la data della Pasqua. Insegna con umiltà musica e astronomia ai fedeli e invita a leggere la storia alla luce del Vangelo. Autore di diversi inni mariani, gli viene tradizionalmente attribuita la stesura di testo e musica della Salve Regina anche perché proprio vicino al suo luogo natìo, Altshausen, vi è la ‘valle di lacrime’ menzionata nella celebre preghiera. Quando si ammala di pleurite è sempre l’amico Bertoldo a stargli fedelmente accanto nelle ultime ore: «Lottò per dieci giorni. La mattina dell’ultimo giorno mi avvicinai al letto del moribondo per chiedergli se si sentisse un po’ meglio. “Non vivrò ancora, affido a Dio la mia anima molto peccatrice. Prendi le mie tavolette e preparati sempre con ogni sforzo e preghiera perché non sai in quale giorno e ora seguirai il tuo amico carissimo”», riporta la Vita Hermanni. Ermanno si confessa, riceve devotamente la Santa Eucarestia e rende l’anima al Padre nell’«ottavo giorno delle calende di ottobre con una morte felice». La mostra si snoda attraverso pannelli esplicativi che ricostruiscono le mura perimetrali di un chiostro, tra illustrazioni inedite - che ricostruiscono vita e contesto monastico ma anche mettono a fuoco, ad esempio, le mani deformi di Ermanno quale strumento attraverso cui Dio manifesta la sua gloria - e diverse testimonianze perturbanti nella loro autenticità di genitori di figli con gravi disabilità. «Quando sono in ospedale con mia figlia sperimento una pace: stare di fronte alla realtà ti porta a una pace.  Il valore di mia figlia è il suo esserci, non quello che sappia fare o meno. Elena lascia un segno pur non facendo niente», racconta sua madre, dicendo della figlia che «è come la terapista per i bambini più turbolenti, col potere di cambiare e mettere in pace». «È una calamita, per cui chi si “sente chiodo” in qualche modo viene attirato da lui che non parla, non cammina, non mangia, non fa» - racconta Marco di suo figlio Daniele, tredicenne con la rarissima sindrome della trisomia 18 -, il quale «continua a essere un punto di speranza per tantissimi». Di qui di fronte a chi osa tacciare addirittura di egoismo i genitori che scelgono di accogliere la vita di un figlio in queste condizioni, Marco replica con fermezza: «Nella nostra esperienza è venuto da fuori da ogni circostanza: c’è una vita che vuole essere vissuta e io non mi sento di dire che è meno importante e ha meno valore di un’altra vita. Tutto quello che Daniele porta è un di più ed è di gran lunga superiore alle fatiche». Gli fa eco la voce di una mamma la cui figlia Agata ha subito quattordici interventi chirurgici in quattro anni. I medici le consigliarono l’aborto all’estero, data la gravidanza avanzata, ma insieme a suo marito, ha il coraggio di «dire il suo sì al buon Dio che ce la stava donando». Allo stesso modo c’è chi come Kety, con un figlio con un’importante disabilità visiva, comprende che «dentro la disabilità c’è un bene per noi, per nostro figlio, che deve venire a galla e che vogliamo scoprire. Mi ha insegnato che le paure ci sono, ma la realtà è sempre più grande. Ci sta insegnando a vedere di più e non faresti mai a cambio con lo sguardo che avevi prima. Anch’io vorrei vivere le mie fragilità con la coscienza che sono un dono per me e per gli altri». Insomma, secondo quanto traspare dalle luminose testimonianze di questi genitori e dei loro figli, la fecondità di una vita dipende proprio dal suo radicarsi in Cristo, alla quale allude un albero di ulivo che campeggia all’interno di tale chiostro. E in effetti «Ermanno fu “due volte” monaco: perché legato liberamente, come gli altri, al voto di stabilità; e perché legato da Dio ad una immobilità ben più radicale e dolorosa: quella cui la malattia lo costrinse. Questa “seconda” immobilità non gli impedì tuttavia di portare frutto. Piuttosto, lo rese tanto più simile al Giusto per eccellenza, di cui anche, nella tradizione cristiana, l’albero è simbolo: quello Giusto, che proprio lasciandosi inchiodare sulla croce, in pura obbedienza al Padre, è divenuto l’Arbor vitae, che coi frutti del suo sacrificio nutre e con la sua dolce ombra dona refrigerio». D’altra parte, come scrive Elisa - giovane ventinovenne con grave disabilità motoria e incapacità di parlare in un dialogo vivo col monaco medievale tedesco - «la mia esperienza, così come quella di Ermanno, mi ha insegnato che per seguire il proprio desiderio bisogna avere perseveranza, che ci permette di non fermarci alla superficie, ma di andare in profondità conoscendo sempre meglio noi stessi, pazienza, che ci consente di abbracciare i nostri limiti e di vederli non solo come ostacolo, ma anche come il punto di partenza per trovare la propria strada, ed essere sostenuti da una comunità, che è il terreno fertile in cui il nostro seme può maturare e portare frutto». (Foto Mostra Meeting Rimini 2025)

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