Il vero capitale su cui investire sono le persone. Lo sapeva bene Amadeo Peter Giannini (1870-1949): la sua esperienza umana e professionale si costruisce tutta intorno a tale consapevolezza. È quanto traspare con chiarezza dalla mostra “Non si può morire per un dollaro. La rivoluzione di Amadeo Peter Giannini” visitabile al Meeting di Rimini. Per approfondire la figura questo grande protagonista dell’economia del secolo scorso alla scaturigine della Bank of Italy poi divenuta Bank of America Il Timone - che al Meeting di Rimini è presente - ha intervistato Francesco Cassese, uno dei suoi curatori.
Chi è Amadeo Peter Giannini, l’uomo che ha trasformato in maniera strutturale il settore bancario negli Stati Uniti? «Nato il 6 maggio 1870 a San José, Amadeo viene da una famiglia umile ligure di Favale di Malvaro. I suoi genitori erano arrivati negli States nella seconda metà dell’800, insieme ai 4 milioni di italiani che migrano dall’Italia verso l’America in quel periodo».
Quali esperienze sono decisive per la sua formazione umana e professionale? «C’è un evento decisivo che avrebbe potuto diventare un trauma: la morte del padre sotto i suoi occhi. Nel 1876, quando aveva 6 anni, suo padre - che era riuscito a procurarsi dei campi da coltivare - ha un diverbio con un bracciante che non aveva lavorato e voleva ricevere ugualmente la paga di un dollaro. A seguito di tale contrasto Amadeo vede morire il papà davanti agli occhi. Di qui il titolo della mostra “Non si può morire per un dollaro”, un grido da cui scaturisce la consapevolezza che la vita dell’uomo è incommensurabile rispetto a qualsiasi tipo di ricchezza».
Quali elementi Giannini pone al centro della sua visione del sistema bancario? «La sua visione nasce innanzitutto dallo stupore per la scoperta degli istituti di credito in Italia nel periodo medievale e rinascimentale, ovvero ‘i monti di pietà’, i quali non avevano scopo di lucro, ma nascevano per rispondere alle esigenze delle persone meno abbienti. Aveva alcune partecipazioni nell’azienda del suo suocero Giuseppe Cuneo e da lì nel 1904 gli viene in mente che forse poteva nascere una banca che chiamerà Bank of Italy, a sottolineare il suo legame con l’Italia. È una banca con azionariato popolare: per la prima volta carrettieri, fornai, persone umili varcano la porta delle filiali. Egli manifesta una grande capacità di entrare in rapporto con le persone: le chiama per nome, ricorda la loro storia e ne comprende al volo le esigenze, convincendo anche le più umili a prendere una delle azioni della banca per formarne il capitale iniziale. Ciò avviene tra il 1904 e il 1906. Anche a seguito del terremoto di San Francisco, e dunque con l’insorgere delle difficoltà, crea un ‘sistema’ grazie a un rapporto diretto con le persone, che poi sono i suoi clienti, che riesce a portar dentro come azionariato. Egli concede fiducia sin dall’inizio, facendo credito senza necessità di alcuna garanzia patrimoniale. E lo fa guardando la fede al dito - che significa progettualità per il futuro e voglia di costruire qualcosa che possa durare nel tempo - e i calli sulle mani, cioè la voglia di lavorare. Andava poi a incontrare nelle botteghe i suoi clienti per capire come funzionava la loro attività e non disdegnava di offrire anche buoni consigli. Così Giannini ha cercato di allargare sempre di più l’esperienza della Bank of Italy per andare oltre il territorio della California, certo del fatto che perché la banca potesse diventare un servizio doveva diventare sempre più sistema».
Quali soluzioni concrete pone in essere per concretizzare il suo ‘modello’? «Occorre sottolineare che, a differenza di altre realtà come JP Morgan che si basano su un’élites di poche persone, Giannini sviluppa un azionariato diffuso fondato sulle relazioni con le persone, che determina un valore aggiunto. Lo testimonia chiaramente l’esempio del Golden Gate che viene finanziato a fronte di una domanda che egli pone ai due ingegneri: “Ma quanto durerà questo ponte?”. Essi rispondono: “Per sempre”. Di qui controbatte: “Allora cosa stiamo aspettando a partire!”. Così ne finanzia la costruzione senza richiedere interessi, ma nel contempo assicurandosi il rientro del capitale ponendo un’unica condizione: le persone che vi lavoreranno dovranno essere assunte tra quelle che abitano alla Baia e nei dintorni, ovvero quelle a cui aveva in precedenza prestato dei soldi. Poi fa pagare anche un pedaggio, scommettendo sul fatto che l’opera possa funzionare. Allo stesso modo, quando con il ‘piano Marshall’ Giannini anticipa dei soldi agli italiani, lo fa sì perché legato all’Italia, ma anche perché intuisce che poi gli italiani verranno negli Usa, in California, e cominceranno a costruire».
Quali suoi insegnamenti ritieni possano essere ancora attuali, e dunque di monito rispetto a un sistema bancario nel quale l’interesse per il capitale prevale sul valore delle persone? «Sicuramente la necessità di un ritorno all’economia reale, laddove oggi sono spesso i sistemi informatizzati e a decidere se una persona sia degna di ricevere un prestito o meno. Al contrario il criterio che Giannini ha posto al centro della sua visione bancaria è stato la possibilità di guardare negli occhi le persone - fede al dito e calli sulle mani appunto - per intuire se una persona sia degna di fiducia. Una scrematura dei clienti che salti questo livello di incontro con le persone rischia pertanto di trascurare una parte fondamentale, come testimonia l’esperienza vincente di Giannini». (Foto: Fabio Piemonte)
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