Frassati e Savonarola, un legame forte (e poco raccontato)
L’affinità tra il giovane torinese e il domenicano della Firenze rinascimentale è poco nota. Il loro impegno civile è la risposta vera ai problemi della politica e nello stesso tempo a quella malintesa laicità che vorrebbe i cattolici chiusi nelle sagrestie
Muscoli e cervello. Pensiero e azione. Un uomo intero e non diviso, questo era Pier Giorgio Frassati così come si può chiaramente riconoscere dalle sue biografie e dai suoi scritti. Oserei dire di più, perché Frassati era un mistico e un politico, qualcosa che oggi sembra così difficile da comprendere tanto siamo imbevuti di pregiudizio e di una farlocca separazione di campi che in realtà non lo possono essere se ben compresi. Un giovane pieno di passione è stato Pier Giorgio, morto, come sappiamo, appena ventiquattrenne, ma ricolmo appunto di questa indomabile energia. Ma non è nemmeno una questione di gioventù a spiegare il Santo. Ci sono i suoi riferimenti spirituali, san Paolo, santa Caterina da Siena e Girolamo Savonarola, il profeta della Firenze rinascimentale.
CHE CRISTO REGNIAlla base della parabola di Pier Giorgio c’è, infatti, la scelta di entrare nel Terz’ordine domenicano con il nome di fra Girolamo (il 28 maggio 1922 nella chiesa di San Domenico a Torino). Perché, scrisse lo stesso Frassati a un amico, «mi ricorda una figura a me cara e certamente anche a te, che hai comune a me gli stessi sentimenti contro i corrotti costumi: la figura di Girolamo Savonarola, di cui io indegnamente porto il nome. Ammiratore fervente di questo frate, morto da santo sul patibolo, ho voluto nel farmi terziario prenderlo come modello». La pugnace battaglia civile di Frassati prendeva l’ardore del Savonarola, come si rileva nella sua reazione di fronte all’avanzare del fascismo e alla cedevolezza di parte del mondo cattolico. «Ci deve essere la possibilità per quel giorno che almeno un gruppo sparuto di cattolici possa tenere la testa alta e sostenere che non tutti tradirono».
Quella di Pier Giorgio però non è una questione partitica o una lotta di potere, la politica per il giovane torinese è a tutti gli effetti l’esercizio delle virtù morali nell’ambito della convivenza civile. L’albero delle virtù nel suo caso è ben piantato verso l’altro, come si rileva chiaramente negli Appunti per un discorso sulla carità da lui scritti nel 1925: «Noi abbiamo uno stretto dovere di cooperare grandemente alla rigenerazione morale della società mondiale affinché possa spuntare un’alba radiosa in cui tutte le nazioni riconosceranno non solo nelle parole ma in tutta la vita dei loro popoli per Re Gesù Cristo come lo fece già nel Medio Evo la Repubblica fiorentina». Non tragga troppo in inganno la parola «Medio Evo», perché qui è davvero lecito pensare che il riferimento sia invece proprio alla repubblica instaurata a Firenze nel 1494, quella con a capo Cristo Re, animata e ispirata dalla predicazione del domenicano Savonarola.
LA VERA PASSIONE CIVILEIn Frassati, come in Savonarola, la regalità sociale di Cristo non è teocrazia, come vorrebbe la vulgata, ma frutto del ragionevole e necessario primato concesso alla Verità e all’Amore, in quanto è il vero Figlio di Dio l’unica soluzione per rigenerare moralmente la vita sociale e politica. È questa la più radicale «questione morale», di cui quella avanzata nel 1981 in Italia dall’allora segretario del Pci, Enrico Berlinguer, è solo una cugina minore un po’ giustizialista. I ladri, i corrotti, le correnti di potere, le clientele, sono solo degenerazioni del cuore dell’uomo che smette di riconoscere il primato dovuto alla Verità e all’Amore, come peraltro faceva programmaticamente il partito di cui Berlinguer era a capo.
In Savonarola il giovane Pier Giorgio riconosce innanzitutto, come ha scritto il gesuita Robert Claude nel suo Frassati parmi nous del 1957, «il cristiano che non si lascia prendere la mano». Frassati si impegnò in politica nel Partito popolare italiano fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo, lo fece con animo antifascista, ma soprattutto lo fece con lo spirito di chi voleva dare una soluzione a quei problemi di sofferenza e miseria che si impegnava in prima persona a risolvere nelle visite ai diseredati e ai malati.
GIORGIO LA PIRAChi vorrebbe vedere una contraddizione nell’impegno civile e politico del beato Frassati è perché non riconosce quel primato alla Verità e all’Amore che invece Pier Giorgio, come Savonarola, sapeva individuare senza dubbio nel Cristo. Lo spiega meglio di altri il sindaco “santo” di una Firenze non più rinascimentale, ma degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quel Giorgio La Pira che del rapporto tra Frassati e Savonarola scriverà un testo importante a prefazione del libro di Luciana Frassati dedicato all’impegno sociale e politico di Pier Giorgio. «Che cosa ne è della Chiesa oggi? Che cosa ne è oggi della civiltà cristiana? Cosa ne è oggi della società cristiana? È a questa morsa che Pier Giorgio non è sfuggito e da cui ha voluto consapevolmente essere preso». E il contrasto che si vorrebbe insanabile tra vita di grazia e preghiera con quella sempre troppo mondana della vita politica, scrive La Pira, è un problema mal posto.
Non va posto «dal contrasto, ma dal reale fondo religioso, teologico, metafisico, nel quale si radica questa vita. Se questo fondo divino - cioè in Dio radicato - esiste, allora quell’attività esterna […] è una prosecuzione operosa di quel sanate omnes che è un invito così pressante del Vangelo». E allora, dice La Pira, «l’azione non può limitarsi al primo, dolce, immediato, misericordioso intervento samaritano della Conferenze di san Vincenzo: ci vogliono interventi massicci: ci vuole un’architettura sociale diversa che dia alla società - e allo Stato che la esprime - un volto diverso ed una strutturazione diversa». È questa la «questione morale», che alla fine si rivela una «questione religiosa», in altri termini spirituale. Il moderno «bunga bunga» e le sempre verdi clientele sono noiose e maleodoranti realtà molto umane e mondane in fondo, le schiere di redazioni indignate e di procure allertate possono poco, al massimo soddisfano chi in realtà si accontenta della legge del taglione.
Una risposta alla famigerata «questione morale» è in questo forte cristianesimo «domenicano e savonaroliano» del giovane Frassati, come lo definisce La Pira. «Un cristianesimo che è presente a tutti i problemi della storia e della civiltà umana». Morì ad appena 24 anni Frassati, ma in lui, è ancora La Pira a parlare, c’è «il disegno abbozzato di una giovane esistenza, che aveva Dio solo come luce, come vita e come orientamento». Tanto che è valso a «rivelare a tanti il valore di “missione” che la vita ha per tutti: inserire il Cielo nella terra, la luce nelle tenebre, la grazia nella natura, la città di Dio nella città dell’uomo»