Ci sono dei libri che devono essere assolutamente letti, soprattutto in determinate congiunture storiche. Mi sono imbattuto nella pubblicazione di Marco Fasol intitolata Gesù di Nazaret: una storia vera? I Vangeli alla prova della scienza (Presentazione di Domenico Repice, Edizioni Ares) e sono stato folgorato. Nel panorama editoriale contemporaneo, dove il dibattito sulla figura storica di Gesù Cristo si muove spesso tra polarizzazioni ideologiche e semplificazioni mediatiche, il volume che ho tra le mani si distingue per rigore metodologico e chiarezza espositiva. L’Autore propone un’indagine appassionata e documentata sulla storicità dei Vangeli, affrontando con lucidità le principali obiezioni sollevate dal pensiero critico moderno. Il suo intento è quello di costruire un ponte solido tra fede e ragione, offrendo strumenti concreti per un dialogo serio con scettici, agnostici e non credenti.
Desidero entrare, pertanto, in contatto con lui, al fine di porgergli alcune domande e contribuire a chiarire il suo percorso intellettuale. Il suo lavoro riveste infatti un’importanza significativa, anche – se non principalmente – per i credenti che, oggi più che in passato, sono chiamati a rendere ragione della propria fede in un contesto culturale che si presenta sempre più scristianizzato Inizio con una provocazione: possiamo davvero essere certi che i Vangeli giunti fino a noi corrispondano fedelmente a quelli redatti nel I secolo, senza che le numerose trascrizioni degli amanuensi effettuate nei secoli abbiano introdotto modifiche sostanziali al testo originario?
«Intere generazioni di studiosi – mi spiega Fasol – si sono appassionate nella ricerca delle migliaia di manoscritti, sparsi in tutte le più importanti biblioteche del mondo, per confrontare, analizzare parola per parola, questo patrimonio immenso. E il risultato, sorprendente anche per gli studiosi specialisti, è stato che negli oltre quindicimila manoscritti sopravvissuti alle vicissitudini della storia (un numero enorme rispetto ad altre opere) non ci sono aggiunte, modifiche o manipolazioni. Le migliaia di varianti riguardano gli errori umani di copiatura, ma non intaccano mai il contenuto sostanziale».
Incalzo: siamo certi che le parole attribuite a Gesù nei Vangeli siano le sue autentiche espressioni e non piuttosto il frutto della comprensione personale e delle intenzioni teologiche dei loro autori? «Il testo greco dei Vangeli è stato pensato in aramaico, la lingua della predicazione orale di Gesù. Le ventisei parole aramaiche, i centotrenta parallelismi antitetici, i cento passivi teologici, le frequenti ripetizioni, le quaranta parabole narrative sono tutti segni evidenti di una fedeltà rigorosa alla predicazione originaria del Maestro. Anche lo studio della didattica rabbinica dell’antichità conferma la prassi della ripetizione a memoria dell’insegnamento dei maestri».
Entriamo ora nel cuore dello scritto laddove si parla di resurrezione: come si può affermare da un punto di vista scientifico che Gesù sia risorto da morte il terzo giorno? «Per rispondere laicamente a questa domanda cruciale dobbiamo tenere conto dell’importanza del criterio di spiegazione necessaria o concatenazione esplicativa. Se per assurdo cancellassimo la risurrezione dalla storia, non riusciremmo a capire come un perdente, crocifisso, flagellato, incoronato di spine sia stato annunciato dopo pochissimi giorni come l’unico vero Dio. Non riusciremmo a capire come i discepoli siano morti martiri per testimoniare questa verità che evidentemente valeva più della loro stessa vita. Né riusciremmo a capire come i discepoli abbiano compreso che le profezie sul Messia si fossero realizzate in un crocifisso. Il Messia infatti avrebbe dovuto regnare in eterno, avrebbe dovuto porre i suoi nemici a sgabello dei suoi piedi, avrebbe dovuto essere innalzato alla destra di Dio, per sempre. Queste profezie diventavano comprensibili solo se quel crocifisso era davvero risorto e aveva spiegato ai discepoli di aver vinto non con la spada, ma con l’amore e il perdono. Allora nessuna intelligenza umana poteva capirlo. Solo una rivelazione soprannaturale poteva spiegarlo ai discepoli. Naturalmente, questa argomentazione per assurdo rimane ben distinta dalle scelte personali, non deducibili dai ragionamenti, che comunque ne possono garantire i fondamenti storici».
Abbiamo davvero a disposizione documenti che siano stati composti a ridosso di un evento tanto decisivo, capaci di offrirci una versione non filtrata né alterata dal tempo? «Si sono individuate, grazie alle raffinate analisi filologiche del secolo scorso, le prime e antichissime formulazioni dell’annuncio pasquale. Si tratta di alcune gemme preziose incastonate nelle lettere paoline, i primi scritti del Nuovo Testamento, vicinissime cronologicamente all’evento. Secondo alcuni studiosi delle tecniche di trasmissione della tradizione orale antica, queste formulazioni risalgono ancora agli anni Trenta del I secolo».
Vogliamo rilanciare: ci sono ipotesi alternative ai fondamenti storici della risurrezione? «Negli ultimi duecentocinquant’anni non solo gli storici, ma anche i letterati, i romanzieri, i filosofi, i dilettanti si sono sbizzarriti con le ipotesi più fantasiose e inverosimili. Nella mia ricerca ho cercato di riassumere soprattutto le ipotesi critica e mitica, formulate anche da esegeti e studiosi autorevoli. Il lettore ha potuto confrontare queste ipotesi con le argomentazioni storiche e scientifiche che sono presenti nei primi tre capitoli del mio saggio, mentre nel sesto aggiorno il lettore sugli studi più recenti sulla risurrezione, che non è un evento estraneo alle nostre aspettative, ma risponde proprio al nostro desiderio naturale di una vita oltre la morte».
Si parla di tanto in tanto – e sovente a sproposito – dei vangeli apocrifi. Non posso esimermi dal domandare che ruolo hanno giocato nella trasmissione della figura di Gesù. «Ho preso in considerazione anche i vangeli apocrifi, soprattutto gnostici. Lo studio dei criteri laici di affidabilità storica mi ha permesso di smascherare l’origine gnostica di questi scritti. Lo studio degli apocrifi, paradossalmente, ha rafforzato l’affidabilità dei Vangeli canonici che soddisfano i criteri laici di antichità delle fonti, di molteplice attestazione, di contestualità storica, di concatenazione degli eventi narrati».Il problema storico rimanda a un altro quesito: esistono testimonianze storiche di origine non cristiana risalenti al I secolo che possano confermare o integrare il racconto evangelico? La risposta non si fa attendere: «Ho preso in considerazione il monumentale Testimonium flavianum, scritto dallo storico ebreo Giuseppe Flavio negli anni Novanta del I secolo. Nel libro XVIII delle sue Antichità giudaiche, questo storico conferma il nucleo genetico del cristianesimo. Parla di Gesù condannato alla morte di croce da parte di Ponzio Pilato, afferma che apparve nuovamente vivo ai suoi discepoli nel terzo giorno dopo la sua morte, riconosce che la comunità dei cristiani sussiste ancora. Questo documento, la cui autenticità è supportata dalle più sofisticate analisi lessicali dell’informatica contemporanea, può costituire un primo passo per un dialogo costruttivo con gli scettici o agnostici che sono prevenuti nei confronti delle fonti cristiane. Vi sono, inoltre, altri documenti di autori quali Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane».
In effetti, vi sono anche altre fonti storiche esterne al Nuovo Testamento, oltre ai vangeli apocrifi e agli storici non cristiani, come la Sacra Sindone, una delle reliquie più studiate (piccola nota a margine: attorno a essa vengono periodicamente pubblicati studi, alcuni dei quali si rivelano vere e proprie bufale, puntualmente pubblicizzate da certa stampa e smontate da analisi scientifiche rigorose). Chiedo al mio interlocutore cosa può dirci al riguardo: «Le ricerche scientifiche più recenti ci autorizzano a presentare la Sindone di Torino come reperto archeologico che testimonia il dolore di un uomo flagellato, incoronato di spine, crocifisso, straordinariamente coincidente con la descrizione dei Vangeli. Le caratteristiche dell’immagine e la misteriosa separazione del corpo dal telo orientano molti scienziati ad attribuire a un lampo di luce ultravioletta, istantanea, a elevatissima intensità, la causa della formazione dell’immagine. La Sindone può dunque costituire una conferma scientifica dei racconti evangelici. Per i riferimenti e la documentazione mi sono rifatto e ringrazio sentitamente la sindonologa Emanuela Marinelli, che ha integrato la mia esposizione con la sua competenza e autorevolezza».
Giunto alla conclusione di questo intenso colloquio, nella consapevolezza che chiunque desideri approfondire i temi trattati potrà farlo leggendo con attenzione il libro, mi rimane un ultimo interrogativo: come ha fatto Gesù, un ebreo storicamente marginale, a imprimere una svolta epocale e unica alla storia dell’umanità? «È una domanda – mi viene detto – che trascende le limitate capacità e competenze di qualsiasi ricercatore. Ho cercato ugualmente di contribuire a una chiarificazione riconoscendo una straordinaria rivelazione di un nuovo modo di amare testimoniato e annunciato da Gesù di Nazaret. L’amore donativo o agápe ha cambiato tutte le relazioni umane, dalla vita di coppia alla dignità della donna, all’educazione dell’infanzia, al rapporto con gli schiavi (che sono gradualmente scomparsi), alla cura dei malati negli ospedali, un’istituzione originale tipicamente cristiana. Un cambiamento così radicale con una continuità storica che si prolunga ormai da due millenni attraverso la comunità dei credenti costituisce forse l’argomento più convincente a favore dell’origine soprannaturale di questa rivelazione sull’amore donativo (agápe). Ritornano alla mente le parole del laico Benedetto Croce su questa rivoluzione: “Non meraviglia che sia apparsa o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane”».
Mi congedo dall’Autore, la cui opera – è opportuno sottolinearlo di nuovo con fermezza – merita una lettura attenta e approfondita, quale imprescindibile strumento di riflessione sui temi trattati. In un’epoca segnata da polarizzazioni e superficialità, questo testo rappresenta un invito alla riflessione seria e documentata. Marco Fasol – e la nostra chiacchierata l’ha confermato – non pretende di “dimostrare” la fede, ma mostra come essa – in dialogo con la ragione – possa poggiare su basi storiche solide.
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