Giovedì 06 Novembre 2025

Suicidio assistito

Emanuel Cosmin Stoica: «Suicidio assistito? Non vedo l'urgenza di una legge»

Parla l’attivista gravemente disabile, che ha partecipato al flashmob di Pro Vita “Non mi uccidere” per dire no al suicidio assistito e sensibilizzare al di là delle strumentalizzazioni sui reali obblighi che lo Stato ha verso i più fragili della società

Emanuel Cosmin Stoica sul fine vita: «Lo Stato cerchi soluzioni, non scorciatoie»

(E. C. S.)

Due giorni fa duecento sedie a rotelle vuote hanno riempito Piazza del Popolo a Roma per il flash mob organizzato da Pro Vita&Famiglia OnlusNon mi uccidere”. Una manifestazione contro il suicidio assistito e tutte le derive eutanasiche che ne conseguono per richiamare l’attenzione sul diritto alle cure e la tutela dei più fragili. Sul palco il presidente della Onlus Antonio Brandi con accanto tanti attivisti, tra cui Emanuel Cosmin Stoica - già noto ai lettori della nostra rivista (qui per abbonarsi) - che abbiamo avuto l’onore di intervistare in merito.

Emanuel, come spiegare brevemente a chi ci legge il senso della manifestazione?

«Innanzitutto sensibilizzare su un tema che in pochi conoscono o comunque conoscono solo per come viene raccontando e strumentalizzato. Il tema del fine vita e della sofferenza. Non c’è la crisi di cui parlano associazioni come Coscioni o come vuol fare intendere la Corte costituzionale. Negli ultimi dieci anni le richieste di suicidio assistito mi sembra siano state al massimo sette. Non c’è questa urgenza di abilitarsi di una norma sul fine vita. E poi soprattutto per fare capire che lo Stato ha il compito morale prima ancora che giuridico di garantire servizi e dignità affinché le persone possano vivere, non sopravvivere o addirittura sentirsi incoraggiate a porre fine a fantomatiche sofferenze. Una persona con disabilità è una persona fragile, in un momento di sofferenza magari anche fisica o di poca lucidità si può arrivare a pensare alla morte, ma il fatto che esista questo strumento [suicidio assistito, n.d.r.] fa sì che possano esserci tante persone che chiedono di accedergli, ma non per la sofferenza legata alla malattia, ma semplicemente per il fatto che visto che esistono strumenti di questo tipo può sembrargli la scelta più giusta». 

A tal proposito abbiamo sentito l’ultimo caso della ragazza in Belgio… 

«Esatto. Dobbiamo anche ragionare da un altro punto di vista. Si dice che servirà solo nei casi estremi di malati terminali, però perché quando una persona che può esser produttiva per la società, se per esempio tenta il suicidio lo Stato addirittura si “accanisce”. Se uno tenta di buttarsi giù dal ponte si fa il TSO pur di salvarla. Mentre se lo chiede una persona fragile dal punto di vista della disabilità si dice “manca una legge sul fine vita quindi facciamola”. Sono due pesi e due misure sulla vita umana. Non c’è parità di trattamento. Si stanno poi sprecando tempo e risorse non per trovare una soluzione, ma per trovare una scorciatoia. Ad oggi non abbiamo la perfezione sui servizi legati alla disabilità e ai malati terminali, le cure palliative non sono accessibili a tutti, si usano solo negli ultimi istanti di vita, non ci sono percorsi psicologici di aiuto alle famiglie. Anche perché la persona fragile si sente un peso non solo per lo Stato, ma anche per i proprio cari. Se non si ha tutta una rete di servizi che riesca ad alleviare il dolore psicologico non ci si può permettere di trovare una tale scorciatoia».

Se dovessimo spiegare a qualcuno che è favorevole al suicidio assistito la ragione profonda che da gravemente disabile ti spinge a lottare contro, te cosa diresti? 

«La ragione profonda è che ci si focalizza su una scorciatoia e non più sul garantire pari dignità sociale alle persone più fragili. Avendo questo strumento gli Stati non investono più tempo e risorse sul garantire la vita». 

In ultimo, quel messaggio vorresti lanciare a chi ha potere decisionale?

«Chi ha potere dovrebbe capire che ampliare i diritti non significa riconoscere un diritto alla morte. Ma garantire il diritto alla vita e fare di tutto affinché quella vita possa essere vissuta a pieno. Non il “contentino” ma reale aiuto nell’assistenza domiciliare, nel sollievo alle famiglie… noi abbiamo iniziato a parlare seriamente del caregiver solo quest’anno. I caregiver sono una mano in più data a tutto il Servizio sanitario nazionale. Checché se ne dica l’Italia ha un Sistema sanitario che va a includere tutti, persone di diversi ceti, provenienza eccetera vengono aiutate tutte. E quindi un Paese che ha questo sistema qua può solo migliorare, mentre così si fanno dei passi indietro. Esattamente come la legge sull’aborto, prima c’erano dei paletti. Oggi se si sa in anticipo di qualche disabilità qualche ginecologo spinge per l’aborto. Basta uscire fuori dall’Italia e vedere laddove siano possibili l’aborto eugenetico e l’eutanasia e vedere il corso che hanno preso. Sono passati ai malati mentali, ma come fa un malato mentale a essere autodeterminato nella scelta della morte? Anche dal punto di vista giuridico non c’è nessun obbligo del legislatore di redigere una norma sul fine vita, ma ci sono tanti altri obblighi, partendo dai diritti umani, per esempio garantire la vita. Basta aprire la Costituzione, non c’è scritto da nessuna parte di un “diritto” alla morte». 

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