Giovedì 23 Ottobre 2025

Suicidio assistito, anche la Sardegna apre alla morte per legge

In questo modo l'isola diventa la seconda regione, dopo la Toscana, ad aprire alla morte on demand

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La Sardegna è la seconda Regione in Italia  ad avere approvato una legge sul fine vita. La prima Regione in assoluto a compiere lo stesso passo è stata la Toscana la cui legge (n.16/2025) lo ricordiamo, ha permesso il primo caso di suicidio assistito in questa Regione, con Daniele Pieroni, a causa del Parkinson al quarto stadio. Inizialmente, il Governo aveva impugnato la legge regionale, ma la sua applicazione ha mostrato che la legge stessa non creava nuove condizioni rispetto a quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale. E come accade spesso, una volta tolto un paletto, anche tutti gli altri hanno cominciato a venire meno e così, il 17 settembre il consiglio regionale ha votato, anche in Sardegna, il medesimo disegno di legge, con il testo della maggioranza, scritto sulla base di quello proposto dall'associazione Luca Coscioni. L’approvazione è avvenuta con 32 voti favorevoli, 19 contrari e un'astensione, dopo un dibattito in cui sono emerse numerose divisioni tra gli schieramenti e anche, in qualche caso, all'interno degli stessi. Ha votato a favore la gran parte dei consiglieri della coalizione di centrosinistra che aveva sostenuto la presidente di Regione Alessandra Todde, assieme a un consigliere di opposizione, Gianni Chessa di Forza Italia. La persona astenuta è Giuseppe Frau, di Uniti con Todde. Si è distinto positivamente, nelle file della sinistra, Lorenzo Cozzolino, pediatra eletto col Psi, che ha dichiarato: «Comprendo le motivazioni dei colleghi della mia maggioranza [...] ma allo stesso modo rivendico il diritto di rispondere alla mia coscienza che mi porta a esprimere dissenso. La mia fede cattolica mi ha trasmesso principi che ho sempre onorato nella vita privata, nella professione e nel mio impegno politico. La vita è un dono sacro da accogliere e custodire fino alla fine, anche quando si fa fragile e fa soffrire. Sono un medico e ho giurato solennemente di difendere la vita. Il nostro codice deontologico ci vieta di compiere atti finalizzati a provocare la morte anche se lo chiede il paziente. La medicina può fare molto per alleviare le sofferenze ma non è compito del medico decidere quando la vita deve finire. Spesso dietro una richiesta di aiuto c’è una sofferenza, nostro compito è quello di rafforzare le cure palliative e dare supporto psicologico ai pazienti. Per questo voterò contro». Venendo alla norma, essa in buona sostanza - un po’ come quella Toscana - disciplina procedure e tempi per l'assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito, in base ai parametri stabiliti dalla “sentenza Cappato” del 2019. Tuttavia, numerosi giuristi hanno già messo in luce, che la legislazione sulla vita è di competenza del Governo, tanto è vero che le stesse sentenze della Corte Costituzionale n. 242/2019 e n. 135/2024 - spesso citate a sostegno delle leggi regionali – sollecitano sì il Parlamento a legiferare sul fine vita, ma non si spingono certo a fare altrettanto nei confronti delle Regioni. Non solo: anche la recente sentenza 66/2025 della Consulta, pur rinnovando un appello al legislatore, evidenzia e denuncia aspetti come la mancanza di cure palliative e le derive mortifere che trascina con sé il suicidio assistito; pertanto appare assai inverosimile che le Regioni possano essere titolate a legiferare su un versante così delicato A conferma di ciò, anche la decisione del Tar dell'Emilia Romagna del 27 aprile scorso - che ha sospeso con effetto immediato le delibere della Regione sul fine vita, approvate negli ultimi mesi della Presidenza Bonaccini, riconoscendo che sul fine vita la competenza «è nazionale e non regionale». Il nostro giornale, nel cui numero di settembre c’è uno speciale sul suicidio assistito  e a cui vi invitiamo ad abbonarvi ha sempre sposato l’idea della salvaguardia della vita del malato, arginando e combattendo da un lato, il suicidio assistito e, dall’altro, quell’abbandono terapeutico e umano che nel 99% dei casi - per riprendere le condivisibili considerazioni espresse nel Consiglio regionale della Sardegna dal già citato Cozzolino - è all’origine delle richieste di morte, nella convinzione ferrea che sia necessario porre fine alla sofferenza e non al sofferente. E, inoltre, siamo sempre più convinti, guardando l’andazzo delle richieste in aumento, delle persone che chiedono di porre fine anzitempo alla loro vita, che quando si crea un precedente, è facilissimo che altre vite fragili e non solo per la malattia, ma anche per la solitudine in cui vivono la sofferenza, chiedano di essere recise. Pensiamo al succitato caso di Daniele Pieroni e a quanti malati di Parkinson, come lui, potrebbero essere influenzati dalla sua decisione. Si fa presto, infatti, a passare, soprattutto quando si è tristi e soli, dunque, indifesi, dal “diritto di morire” al “dovere di morire”… Foto: (Imagoeconomica) ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!

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