CHIESA
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«Quando Giovanni Paolo II incoraggiò monsignor Luigi Negri…»
Intervista al prof. Botturi in vista del convegno “Giovanni Paolo II: un magistero per la Chiesa e per la società del terzo Millennio”, che si terrà oggi novembre alle 15, presso la Cripta Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
08 Novembre 2025 - 00:11
Mons. Luigi Negri (Imagoeconomica)
“Giovanni Paolo II: un magistero per la Chiesa e per la società del terzo Millennio”. È questo il tema centrale di un importante convegno, organizzato in primis dall’associazione culturale Tu Fortitudo Mea, sulla perenne freschezza del magistero apostolico di San Giovanni Paolo II a vent’anni dalla morte (2005-2025) e alla luce del contributo di Mons. Luigi Negri che si svolgerà domani, sabato 8 novembre alle 15, presso la Cripta Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il compianto vescovo della diocesi di Ferrara-Comacchio si è infatti dedicato alacremente e con grande passione allo studio attento e alla diffusione del magistero del santo pontefice polacco, sulla cui figura ha tenuto centinaia di conferenze, incontri e seminari in Italia e all’estero, tra cui in particolare in Brasile, Polonia e Germania. Di qui Il Timone ha intervistato il professor Francesco Botturi, già ordinario di Filosofia morale all’Università Cattolica, nonché uno degli illustri relatori del convegno al quale hanno partecipato anche il cardinale Angelo Bagnasco e Juan José Pérez-Soba Diez Del Corral, ordinario di Teologia pastorale del matrimonio e della famiglia all’Istituto Pontificio Giovanni Paolo II di Roma.
«Giovanni Paolo II, ribadendo che l’uomo è domanda religiosa, ha compiuto un’operazione storicamente determinante nel passaggio dal secondo al terzo millennio. Egli ha aperto una dialettica che non può non essere portata fino in fondo: hanno ragione coloro che, come lui, seguono la grande tradizione metafisico-religiosa, quelli cioè che intendono l’uomo come bisogno di Dio e di verità, oppure hanno ragione coloro che da duecento anni cercano di costruire un uomo e un mondo senza Dio? Il fondamentale messaggio del pontificato di Giovanni Paolo II, “Cristo Redentore dell’uomo”, resterà come colonna portante nelle arcate della storia della Chiesa perché rilancia la verità più umana della Rivelazione, l’autentica questione culturale in questo passaggio dal secondo al terzo millennio». Professor Botturi, queste parole di Mons. Negri colgono nel segno rispetto all’attualità del magistero di San Giovanni Paolo II? «Sin dal giorno dell’elezione San Giovanni Paolo II era consapevole che il suo pontificato avrebbe assunto un significato grande, potremmo dire epocale. Egli ha mostrato da subito “un coraggio da leone”. Con la sua prima enciclica Redemptor hominis ha additato anche all’uomo postmoderno la necessità di guardare a Cristo quale perenne novità per il cuore dell’uomo di ogni epoca storica. Tale centralità di Cristo è dunque ben presente nella riflessione di Mons. Negri sul magistero del pontefice polacco».
Nel cuore del magistero di San Giovanni Paolo c’è la ‘questione antropologica’, che Mons. Negri ha approfondito e annunciato attraverso il suo ministero pastorale, anche nel solco del carisma di don Giussani. «Nell’omelia per la sua beatificazione il suo successore Papa Benedetto XVI parlò di “un’energia da gigante” in rapporto al coraggio e alla forza che il Santo Padre Giovanni Paolo II aveva profuso nell’affrontare la corrente dell’incipiente postmodernità che dava per scontata la conclusione storica culturale del cristianesimo, considerato come un retaggio sì nobile e importante anche per il laico, ma che non potesse più essere sorgente di novità e quindi anche principio di cultura. Di qui sin dalla sua prima enciclica Papa Wojtyla ha ribadito Cristo quale principio assoluto di vita e di novità, al di là di ogni questione metafisica. Questo annuncio è risuonato in una cultura moderna che al contrario ha lavorato fortemente per raccontare Cristo quale onorevole eredità; come un mero simbolo di ciò che è grande nell’umano. Ma fare di Cristo un segno di altro, ossia della capacità della ragione umana di comprendere il mondo, di trasformarlo e di assumersene la responsabilità è il concetto di secolarizzazione».
Quali ritiene siano dunque gli aspetti fondamentali del magistero di San Giovanni Paolo II approfonditi da Mons. Negri che risultano ancora oggi particolarmente fecondi, in special modo rispetto alle grandi sfide bioetiche, dall’eutanasia all’Ia? «Mi pare che Mons. Negri sia stato interessato a coltivare - oltre all’idea di fondo della teologia cristiana quale irradiazione di un pensiero di cui Cristo è fondamento, origine e principio, e non un derivato - il magistero sociale di Giovanni Paolo II, di cui ha molto sottolineato la portata obiettivamente imponente. Dal momento che Cristo viene riproposto quale fondamento della redenzione e della nuova vita, diviene in questo fonte inesauribile di un pensiero sulla realtà. Dal punto di vista antropologico, infatti, uno dei temi centrali di grande attualità è quello approfondito in questo convegno dal collega Pérez-Soba. Si tratta della teologia del corpo, della questione dell’eros, della sessualità e degli affetti, elaborata in un ripensamento sistematico che trova il suo coronamento, il suo fronte più ampio e più ricco, nella famiglia. A quest’aspetto Giovanni Paolo II ha offerto sicuramente un incentivo formidabile. Degni di nota sono poi i suoi contributi preziosi sul tema del lavoro e della nazione, ben distinta chiaramente da ogni forma di nazionalismo di destra o di sinistra. Riguardo alla riflessione su quest’ultimo tema, egli intende infatti la nazione con l’idea di una socialità che non è economicista, la quale non si rimette esclusivamente alle strutture istituzionali e giuridiche, ma che ha come sua condizione di esistenza quel patrimonio di esperienza collettiva trasmessa, che è poi esperienza di costume, di pensiero, di forme letterarie e artistiche etc. Si tratta dunque di riconoscere anche alle altre nazioni gli stessi diritti. D’altra parte i problemi sul piano politico nascono - come mostrano le guerre mondiali - quando una nazione si sovrappone o si contrappone alle altre, magari credendo in una presunta vocazione speciale cui deve adempiere a tutti i costi. La dottrina della nazione di San Giovanni Paolo II è invece affinché esista un popolo - al di là delle strutture, dell’economia e dei poteri variamente distribuiti - e si configura piuttosto quale condizione di esistenza di una società veramente umana, nel solco della riflessione teologico-politico dello stesso Maritain. In tale prospettiva il Santo Padre richiamava l’esigenza di scrivere proprio una dichiarazione relativa ai diritti delle nazioni. Insomma Mons. Negri aveva compreso che quello di San Giovanni Paolo II non è soltanto un pensiero di combattimento e di revanche da far valere in un contesto molto ottenebrato come quello attuale, bensì un pensiero ricco di contenuti intelligenti, profondi e dunque molto trafficabile dal punto di vista anche intellettuale».
C’è infine qualche aneddoto del profondo legame tra il Santo Padre polacco e il vescovo di Ferrara che gli è particolarmente caro e vuole raccontarci? «Non me ne vengono in mente di particolari, se non un aneddoto che lo stesso Mons. Negri ricordava spesso. Quando presentò al Pontefice un po’ il piano del suo lavoro di approfondimento sui temi centrali del suo magistero apostolico, San Giovanni Paolo II lo incoraggiò con gratitudine a proseguire su tale strada».










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