suicidio assistito
LAVORO
Gli uomini guadagnano di più. Ma è veramente gender gap?
I dati sembrano dire che le donne siano penalizzate nella retribuzione e negli scatti di carriera, ma non considerano che spesso le mamme liberamente scelgono di dare priorità alla famiglia
19 Novembre 2025 - 00:05
(Fonte Imagoeconomica)
«Gender gap, da oggi in Europa le donne smettono di guadagnare. Alle italiane mancano 2.900 euro», titolava così Repubblica in occasione della “giornata europea per sensibilizzare sui divari retributivi”. La causa? Il gender gap che sarebbe al 12% a livello continentale, ma scenderebbe all’8,6% in Italia. Il tema del cosiddetto “divario di genere” è da sempre molto dibattuto e Rep ci torna sopra spiegando che «il divario retributivo medio nel settore privato è pari al 7,2% sulla Retribuzione annua lorda (Ral) e all’8,6% sulla Retribuzione Globale annua (Rga), con una distanza che si amplia fino a oltre 27 punti se si considera la sola componente variabile.
Le donne guadagnano in media 2.300 euro in meno di Ral e 2.900 euro in meno di Rga rispetto agli uomini. Tradotto in termini concreti, è come se le lavoratrici italiane iniziassero a percepire uno stipendio il 27 gennaio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio». Parole che sembrano suggerire che ci sia un sistema strutturato per punire, appunto, il gentil sesso pagandolo di meno, quando ovviamente non è così. I contratti di lavoro nazionali non fanno alcuna differenza in base al sesso e le ragioni dietro a questo divario sono molteplici, i lavori più pericolosi e meglio pagati sono scelti spesso dagli uomini, il lavoro di cura, prevalentemente scelto dalle donne, è meno pagato, e soprattutto le donne in generale “lavorano meno”. Meno giorni al mese, meno ore al giorno. Ovviamente parliamo solo del lavoro retribuito fuori casa. Di conseguenza guadagnano di meno.
Perché? Di certo non per mancanza di preparazione dal momento che il 55% delle matricole ovvero di coloro che si iscrivono all’università è donna. E quindi? Nel 2023 l’economista e filosofo statunitense Walter Block ha pubblicato un saggio dal titolo: Le ragioni della discriminazione: una difesa radicale della libera scelta. In cui si legge: «Io e Jay ci mettiamo ai blocchi di partenza e, proprio mentre la pistola è pronta a sparare, gli metto un sacco da 20 kg sulla schiena. Chi vincerà la gara, visto che per il resto siamo alla pari? Io lo surclasserò. La mia affermazione è che la maggior parte delle donne ha un sacco da 20 kg sulla schiena e consiste nel matrimonio. Questa è l’asimmetria matrimoniale»: la tesi è che il matrimonio aumenti la produttività maschile sul mercato e riduca quella femminile»
A sostegno della sua tesi Block porta diverse prove, tra cui la teoria – non certo nuova – secondo cui il lavoro di cura dentro le mura domestiche (ordine, pulizia, commissioni, cucina, ma anche l’educazione dei figli) poggerebbe quasi unicamente sulle spalle femminili, da qui il concetto di “fardello”. Sulla stessa scia c’è anche Claudia Goldin, economista statunitense che sempre nell’ottobre del 2023 è stata insignita del premio per le Scienze economiche in memoria di Alfred Nobel, il cosiddetto premio Nobel per l’Economia. Vanity Fair per l’occasione rispolvera una vecchia intervista alla Goldin: «Non importa se sei miliardario o povero. Se hai figli piccoli o responsabilità familiari, qualcuno deve essere di guardia a casa, anche se ha un lavoro a tempo pieno. La persona “reperibile” assumerà una posizione più flessibile e meno impegnativa e, di conseguenza, meno paga. Le donne sono generalmente di guardia a casa. Questa è l’iniquità di coppia, ed è l’essenza dell’ostacolo al raggiungimento di famiglia e carriera».
La Goldin non sembra prendere in considerazione l’ipotesi che esistano donne – e non sono certo la minoranza - che desiderano “stare di guardia”, che desiderano essere presenti per i familiari, essere “reperibili” e nemmeno l’ipotesi che a penalizzare le donne non sia il matrimonio, o la vita coniugale, ma un mercato del lavoro che ha come parametro principale il profitto che è direttamente collegato al tempo trascorso al lavoro nonché all’energia spesa nello stesso.
Viviamo invece in un sistema in cui il valore di una donna viene misurato solo per quanto viene pagata per il lavoro che svolge fuori casa e non per il valore che crea lavorando fuori dal sistema produttivo quindi ad esempio tra le mura domestiche. Che la donna stia in casa ad educare e occuparsi dei cittadini di domani dovrebbe essere considerato un preziosissimo welfare, non una diminutio, che le donne possano decidere di stare a casa dovrebbe essere celebrata dalle vestali della libertà di scelta, che invece si ostinano a leggere la realtà con lenti ideologiche che non rendono giustizia a nessuno. Meno che meno alle donne.












Facebook
Twitter
Instagram
Youtube
Telegram