fede e ideologia
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Maria, obbedienza e libertà: perché il “fiat” non è patriarcato
Il caso monsignor Giuseppe Laterza, criticato per un’omelia sull’Annunciazione, mostra come alcuni media e commentatori abbiano esteso le sue parole, trasformando l'atto di libertà di Maria in apparente sottomissione per esigenze ideologiche
22 Dicembre 2025 - 00:05
Mons. Giuseppe Laterza - Facebook Basilica Cattedrale Conversano
Pare che l’obbedienza, nel 2025, sia diventata una parola più scandalosa del peccato originale. Basta pronunciarla in una cattedrale, per giunta parlando della Madonna, e immediatamente scatta l’allarme rosso: sirene mediatiche, editoriali indignati, oracoli laici e una pioggia di accuse che oscillano tra il “patriarcato tossico” e la “controriforma in streaming”.
È accaduto sabato 20 dicembre, nella cattedrale di Conversano, in provincia di Bari, durante una celebrazione pubblica, non in una riunione carbonara né in un convegno per nostalgici dell’Ancien Régime. A parlare è stato monsignor Giuseppe Laterza, arcivescovo titolare della diocesi soppressa di Vartana e nunzio apostolico in Repubblica Centrafricana e Ciad, quindi non esattamente l’ultimo parroco di montagna ignaro del mondo.
Il Vangelo è quello dell’Annunciazione: l’angelo Gabriele, Maria, il turbamento, la domanda, e infine quel “sì” che ha cambiato le sorti degli uomini. Commentando il testo, monsignor Laterza osa dire – con perfetta aderenza al racconto evangelico – che Maria è libera perché sa obbedire. Aggiunge persino, con una punta di ironia: “ditelo a qualche femminista”. Apriti cielo. O meglio: chiudiamolo subito, prima che qualcuno sospetti che anche l’arcangelo Gabriele fosse un emissario del patriarcato.
Secondo la cronaca locale di Oggi Conversano, il presule sarebbe “fuori dalla storia del Concilio Vaticano II” e colpevole di aver evocato “la figura della donna come subalterna”. A rincarare una certa dose arriva anche il commento di Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista, interpellato da La Stampa, che liquida la questione con una carezza retorica: la gerarchia ecclesiale si difenderebbe “sparando scemenze”, mentre i porporati sarebbero “ignoranti e tremebondi”. Argomentazione raffinata, come si vede.
Il punto, però, è un altro, ed è più semplice di quanto si voglia far credere: monsignor Laterza non ha mai negato che il “fiat” di Maria sia stato una scelta libera, né ha mai parlato di costrizione o di subordinazione passiva. A essere contestato non è ciò che ha detto, ma ciò che non ha detto usando il lessico ideologico atteso. E così, da una parola – “obbedienza” – estrapolata dal suo contesto biblico e teologico, si costruisce un processo alle intenzioni che con l’omelia realmente pronunciata ha ben poco a che fare.
E così il “fiat” che ha spalancato la storia della salvezza viene declassato a manifesto di sottomissione, la Vergine Maria retrocessa a vittima inconsapevole di un sistema di potere, e l’obbedienza – che etimologicamente significa ascolto (ob-audire) – trasformata nel sinonimo di servilismo cieco. Un bel capolavoro di fraintendimento, bisogna ammetterlo.
Perché l’obbedienza di Maria non è quella del soldatino che scatta sull’attenti, ma quella di una donna che ascolta, comprende, domanda e poi decide. Decide liberamente. Decide rischiando tutto: reputazione, futuro, perfino la lapidazione. Se questa è subalternità, allora la libertà deve essere una pratica molto più comoda, possibilmente senza conseguenze e con diritto di recesso immediato.
Ma il problema, in fondo, non è Maria. È l’idea stessa che esista una libertà che non coincide con l’autodeterminazione assoluta. Che esista una libertà capace di dire “sì” a Qualcuno, invece che solo “no” a tutti. Un’idea intollerabile per chi concepisce l’emancipazione come perenne conflitto e non come relazione. Ma chi rivendica solo per sé non può capire che la vera obbedienza a Dio è l’unica che libera da tutti i soprusi, anche quelli per cui si dice di voler combattere.
Così monsignor Laterza diventa improvvisamente “fuori dalla storia”, ignaro del Concilio Vaticano II, colpevole di aver evocato l’obbedienza senza chiedere prima il permesso al comitato etico-mediatico del giorno. E poco importa se papa Francesco, il Papa degli ultimi, il Papa più tirato per la talare da chi ama il “progresso”, ha ripetuto in più occasioni che «obbedire a Dio è ciò che rende liberi». Evidentemente anche Francesco, a questo punto, rischia la schedatura come maschilista soft.
Il paradosso finale è che, nel tentativo di “liberare” Maria, la si priva proprio della sua libertà più grande: quella di aver scelto. Di aver detto “sì”. Di essersi fidata. Una donna ridotta a simbolo da difendere contro se stessa, come se non fosse stata abbastanza intelligente, abbastanza consapevole, abbastanza emancipata per capire cosa stesse facendo.
Don Tonino Bello lo aveva detto con una chiarezza disarmante: «questa splendida creatura non si è lasciata espropriare della sua libertà neppure dal creatore». Ma oggi pare che qualcuno voglia espropriarla in suo nome, per salvarla da un’obbedienza che non tollera di essere capita come amore.
E allora sì, forse aveva ragione papa Francesco quando osservava che «ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna». Stessa arroganza, stesso bisogno di imporre un’unica lettura del mondo, stesso fastidio per una libertà che non obbedisce a certi schemi.
Maria, invece, continua a disturbare tutti. Proprio perché ha ascoltato. E ha scelto.











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