Sabato 27 Dicembre 2025

AFRICA

Natale in Congo non è un film, ma «l’attesa del Principe della pace»

Don Patric Calume, giovane prete della diocesi di Goma nel Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo, racconta a Il Timone come vivono questi giorni di festa

Natale in Congo non è un film, ma «l’attesa del Principe della pace»

Don Patric Calume (Congo) - © Il Timone

A Natale il Bambino Gesù desidera nascere nel cuore di ciascun uomo di ogni Paese del mondo, in special modo nelle tante terre perseguitate e insanguinate dal terrorismo, in cui il Vangelo di Cristo risplende grazie proprio alla testimonianza preziosa e luminosa di molti fedeli. Don Patric Calume - giovane trentatreenne della diocesi di Goma nel Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo - racconta a Il Timone in esclusiva il Natale di Gesù nel suo Paese.

Don Patric, anzitutto quanti sono i cattolici nella sua diocesi?

«Considerando che tale diocesi si estende per 25.000 km2 - comprende i territori di Goma, Rutshuru, Masisi e parte dei territori di Kalehe nel Sud Kivu e Walikale - con una popolazione di 2.250.000 abitanti, i cattolici sono 1.105.000; i catecumeni 30.803. Ci sono attualmente 25 parrocchie e 122 sacerdoti secolari. Noi sacerdoti viviamo insieme in comunità nei pressi delle parrocchie principali e nei tempi forti dell’anno liturgico cerchiamo di raggiungere le piccole comunità più distanti, dove spesso vi sono diversi laici cui è affidato il ministero di leggere la Parola, predicare e distribuire l’Eucarestia».

Quali sono le tradizioni natalizie più significative in Congo?

«Sicuramente la principale è la preparazione del presepe con decorazioni in legno, in particolare con statue dei pastori, di Giuseppe, di Maria e del Bambino Gesù nella mangiatoia. Poi la Messa solenne animata da canti, danze e strumenti musicali vivaci, con installazioni di lampadine colorate e giochi di luce. La liturgia viene dunque ben preparata e vede anche la partecipazione di giovani chierici gioiosi».

Ci racconta un ricordo del più bel Natale che ha trascorso finora nel suo Paese?

«Come accennavo in precedenza, la Vigilia di Natale è allietata da questa atmosfera festosa. Ricordo con particolare affetto il 24 dicembre 2004, quando il parroco della comunità arrivò nella nostra chiesa succursale. La Messa iniziò alle 17 e verso le 20, al chiaro di luna, si concluse con danze gioiose, soprattutto in onore del gradito sacerdote ospite arrivato nel nome di Dio. Siamo grati di aver ricevuto questa grazia nella vigilia di Natale, e in special modo per aver ricevuto il Vangelo da quest’uomo e da questo incontro con il nostro pastore. Il motivo per cui quel Natale è stato per me il più bello è perché ci ha uniti così tanto in un’atmosfera fraterna che mi ha toccato profondamente».

Ci sono stati purtroppo negli anni passati, anche il giorno di Natale, attacchi tragicamente memorabili?

«Sì, ce ne sono stati. Il Natale si celebra sia prima che dopo le Messe, soprattutto per condividere e festeggiare con la famiglia, gli amici o i colleghi. In particolare nel 2019 nella chiesa di Ngeri nel territorio di Masisi erano radunate per la veglia di Natale circa 2.000 persone. Improvvisamente, verso le 20, hanno fatto irruzione cinque uomini armati, i quali hanno esploso colpi d’arma da fuoco uccidendo 32 persone. E ancora, nel 2021 a Beni - città nella regione orientale del Nord Kivu - un uomo ha fatto esplodere una bomba vicino un hotel nel quale stavano festeggiando il Natale, uccidendo sei persone. Personalmente, invece, il Natale 2021 mi ha profondamente rattristato per la morte di un ragazzo che conoscevo molto bene.  Stava festeggiando il Natale, mangiando e bevendo in compagnia anche alcol. Finita la cena, si è messo alla guida della sua moto insieme a un amico e ha fatto un brutto incidente stradale che si è rivelato per lui mortale. Un’altra cosa che spesso accade è dovuta al fatto che la carne è considerata merce rara nel nostro Paese. In tanti desiderano mangiarla soprattutto in occasione delle feste, per cui arrivano a consumare persino animali velenosi, finiscono in ospedale e in molti muoiono».

Quali sono i principali sacrifici che molti fedeli devono affrontare per partecipare alla solenne liturgia di Natale?

«Il primo sacrificio è l’insicurezza. Per questo motivo siamo costretti a iniziare la Messa verso le 16, anche perché col buio il rischio di attentati aumenta. Un altro è la mancanza di elettricità: per molti c’è il rischio reale di finire in un burrone. C’è anche poi una moltitudine di sette molto attive che scoraggia in tutti i modi i credenti dal partecipare alla Santa Messa».

Quali progetti la Chiesa sta portando avanti per contribuire a migliorare le condizioni della popolazione locale in questo periodo di persecuzione?

«La Commissione Giustizia e Pace della Santa Sede è particolarmente attiva in Congo, data la situazione geopolitica attualmente molto critica. In special modo la costruzione e messa a disposizione di spazi di preghiera rimane una delle condizioni fondamentali per favorire una partecipazione attiva dei fedeli alla vita ecclesiale. È inoltre molto significativa la nostra presenza in qualità di sacerdoti: il sacerdote accoglie i cristiani nel suo ufficio, li ascolta e cerca poi supportarli concretamente nelle loro molteplici difficoltà».

Cosa chiederà nella preghiera al Bambino Gesù questo Natale?

«La pace e la tranquillità della zona perché la guerra fa stare male la gente e non consente di festeggiare lietamente il Natale. Che Gesù Bambino, Principe della pace, possa portarci la pace, affinché possiamo presto festeggiare un felice Natale».

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Lorenzo Bertocchi
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