Educazione
Lo spirito puà dare slancio all'arte odierna
31 Gennaio 2014 - 06:02
La maggior parte delle chiese moderne è terribilmente deludente. Ma è possibile mettere le nuove tendenze e la sensibilità verso l’immagine al servizio della Chiesa e sfruttare l’enorme potenziale della vera arte.
Intervista a Timothy Verdon.
Insegnare l'arte ai fiorentini... Che cosa c'è di più singolare di un americano, per di più cattolico, che viene a spiegare i capolavori degli italiani in casa loro, addirittura a Firenze, anzi dirige il dicastero che si occupa di arte cristiana nella diocesi più "artistica» del mondo?
Eppure a monsignor Timothy Verdon proprio questo è capitato: nato nel New Jersey nel 1946, formatosi alla Yale University, abbiamo dovuto aspettare lui perché - nel 1991 - a una diocesi del cosiddetto Belpaese venisse l'idea di dotarsi di un "Ufficio per la catechesi attraverso l'arte». A nostra parziale discolpa, sta il fatto che monsignor Verdon vive in Italia da ormai trent'anni ed è un'autorità assoluta in materia, essendo tra l'altro consultore della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa e autore di saggi come L'arte sacra in Italia e Vedere il mistero Mondadori).
«Oggi esiste una notevole sensibilità verso l’immagine e anche la Chiesa si è resa conto di aver a che fare con persone che vivono più di immagini che di parole, a ogni livello. Per raggiungere gli uomini del nostro tempo bisogna far appello alla loro tendenza "visiva". Non solo: dopo il Concilio noi cattolici abbiamo ritrovato l'Antico Testamento, che è una miniera di immagini, e con la parola di Dio abbiamo quindi riscoperto il suo contenuto fisico, corporeo. Ci siamo finalmente accorti che la nostra fede possiede un patrimonio visivo come nessun'altra religione al mondo, soprattutto tanto vario e in evoluzione così continua. Si tratta di una cosa evidente, anzitutto in Italia: l'arte è una pagina della storia della nostra spiritualità cristiana, quindi è uno strumento di enorme potenziale anche per l'evangelizzazione (anzi, in realtà lo è sempre stato: basta pensare agli affreschi medievali per spiegare il catechismo agli analfabeti...)».
«Ora però è il momento di fare un passo avanti. Pensare alle opere d'arte "cristiane" solo come illustrazioni di contenuti di fede, infatti, sminuisce la loro vera forza. L'illustrazione funziona a servizio di un testo, mentre i grandi capolavori - che per secoli hanno affascinato milioni di persone - possiedono qualcosa in più. E il cristianesimo lo può ben dire, perché da noi "il Verbo si è fatto carne", ovvero il mistero centrale della nostra fede supera i testi, noi attraverso Cristo possiamo "vedere" o addirittura "toccare" Dio. Dunque per i cristiani l'immagine non è solo aiuto a capire un testo, ma riproduce qualcosa in analogia con ciò in cui crediamo. Prima delle parole viene il gesto visibile: così anche nella liturgia, nei sacramenti. Un altro esempio? Noi il paradiso non lo immaginiamo certo come una lettura o una semplice comprensione intellettuale di testi sacri, bensì come una "beatifica visione"... Insomma, la teologia deve aiutarci a entrare in questo nesso così intimo e profondo tra l'esperienza del vedere e quella del credere, al cui servizio tutta l'arte della Chiesa è posta».
«Certo, l'arte moderna ha talvolta smarrito l'anelito verso Dio, ma può diventare una risorsa. Possibile che lo Spirito ispirasse solo gli artisti del passato? Ci sono vari linguaggi, che magari funzionano per destinatari differenti o in momenti diversi. E la Chiesa deve educare a riconoscere lo Spirito anche in un'arte magari più "difficile" da capire immediatamente e che tuttavia lascia intravedere la complessità del mistero, obbligando a i un'attenzione nuova e a una ricerca più attiva e profonda. Ma, per capire cos'è successo bisogna partire da lontano. Dopo la Riforma, anche per ragioni polemiche contro i protestanti che eliminavano tutte le immagini dai templi, in ambito cattolico si è esagerato, riempiendo ogni centimetro delle chiese con immagini sacre. Per reazione, nell'Ottocento si è registrato un rigetto contro lo sfarzo eccessivo e in fondo solo decorativo, quindi banale; si è riscoperta allora la freschezza e anche la povertà di un'arte più antica, quella romanica e gotica. Una certa paura del contemporaneo ha indotto insomma a rifugiarsi in un passato sicuro, bello, ricco di una spiritualità splendida, però ha fatto perdere un , po' alla volta il ricordo di un'arte viva che sosteneva la fede. E questo mentre l'arte occidentale stava subendo cambiamenti letteralmente epocali: l'espressionismo, l'impressionismo, Picasso... Solo intorno al 1930 alcuni artisti cattolici hanno tentato di rimettere le nuove tendenze al servizio della Chiesa.
Poi verrà Paolo VI, che praticamente da solo riapre un dialogo con gli artisti. Ma non è bastato».
«La Chiesa avrebbe dovuto accogliere l'interesse degli artisti in modo più creativo, non solo come mecenate ma aiutandoli a capire la pienezza del mistero cristiano. Questo è stato fatto poco e si è persa un'occasione importante. Con la sua lettera giubilare agli artisti, Giovanni Paolo II dice una cosa straordinaria: "Ogni " autentica ispirazione racchiude in sé qualche fremito di quel soffio con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall'inizio l'opera della creazione". Ovvero la vera arte, persino quando non è religiosa, se rappresenta un sincero tentativo di rispondere a Dio, può essere utile alla Chiesa. Questo apre le porte a tutti gli stili, compreso l'informale o l'astratto. Non è detto infatti che un'arte religiosa debba essere solo figurativa: la bellezza dei fiori del campo esaltata da Gesù, per esempio, non è un'immagine puntualmente figurativa...».
«È vero. Siamo pigri e chi ha l'obbligo di comunicare a un pubblico vasto tende a scegliere la via più semplice, che non sempre è la migliore. In parte la colpa è della mancanza di formazione del clero in questo campo.
In parte, e a livelli più alti, servirebbero maggiori investimenti (anche finanziari) in un'arte vera, importante, che troviamo solo in qualche sparso caso e invece dovrebbe tornare ad essere normale nella Chiesa. Non si tratta di una scelta superflua: abbiamo bisogno di infondere nelle persone la vitalità spirituale che nasce dalla bellezza».
«Si tratta di lamentele giustificate, perché la maggior parte di queste chiese (pur con qualche egregia eccezione) sono terribilmente deludenti. Il motivo di tanto fallimento è facile da capire: dopo il Concilio c'è stato grande entusiasmo, tutti gli architetti hanno voluto rispondere subito ai nuovi impulsi.
Troppo presto! Penso che servano altre due o tre generazioni, prima che possiamo arrivare a uno stile che rifletta veramente la prospettiva teologica del Vaticano Il. Oggi siamo in presenza di un confuso ricercare. Ma del resto anche in passato, insieme a cattedrali di bellezza straordinaria, sono sorte chiese di una certa banalità, brutte copie di modelli pescati altrove, e se oggi ci sembrano belle è solo perché sappiamo che vi hanno pregato molti prima di noi. Insomma: forse è troppo presto anche per dare un giudizio definitivo sulle nuove chiese».
Dossier: La vera arte: Splendore di Dio che sospinge verso il cielo
IL TIMONE - N. 77 - Novembre 2008 - pag. 42-43










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