Educazione
Luigi Taparelli d'Azeglio
31 Gennaio 2014 - 06:02
Grande pensatore gesuita dell’Ottocento, rivendicò l’origine divina dell’autorità, promosse l’autonomia dei corpi intermedi, precorse l’Onu e mise mano ad un rinnovamento in senso neotomista degli studi filosofici dei figli di Sant’Ignazio.
Luigi Taparelli d'Azeglio nacque a Torino il 24 novembre 1793 e morì a Roma il 21 settembre 1862.
Ristabilita da papa Pio Villa Compagnia di Gesù nell'agosto 1814, nel novembre dello stesso anno Prospero Taparelli d'Azeglio entrò nel noviziato di Sant' Andrea al Quirinale, mutando il proprio nome di battesimo in Luigi. Tutta la sua vita e la sua vivace attività saranno d'ora in poi strettamente legate alla sua appartenenza all'ordine ignaziano.
Consacrato prete nel 1820, nel 1824 passò dal collegio di Novara a quello romano, di cui fu il primo rettore, dopo che esso era stato restituito dal Pontefice Leone XII ai Gesuiti. Fra il 1829 e il 1833 fu a Napoli con l'incarico di Provinciale, per poi essere trasferito a Palermo, ove rimase, tranne un breve esilio francese causato da una campagna calunniosa orchestrata nei suoi confronti, sino al 1849.
L'anno seguente venne chiamato a far parte del primo nucleo di redattori de «La Civiltà Cattolica», fondata dal padre Carlo Maria Curci. Responsabile della sezione filosofico-sociale della rivista, vi lavorò sino alla morte, contribuendo alla sua affermazione e alla sua ampia diffusione mediante la redazione di numerosi interventi dotti e autorevoli.
Il contributo probabilmente più significativo il Taparelli d'Azeglio lo apportò nel campo della riflessione sociale, alla quale dedicò un ampio Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, scritto tra il 1840 e il 1843, che rappresenta, come ha notato " Guido Verucci, un vigoroso tentativo «di ricomporre I l'unità tra metafisica, morale e diritto, rotta dal protestantesimo». Nel Saggio vengono respinte le idee di contratto sociale e di sovranità popolare e si sostiene l'origine divina dell'autorità, ma non il suo esercizio in termini assolutistici.
Difensore delle società intermedie e della loro autonomia, nonché del primato dell'individuo, al cui perfezionamento la società è finalizzata, il Taparelli d'Azeglio ebbe pure l'intuizione della creazione di un ordine internazionale garantito dalla presenza di un organismo, da lui chiamato etnarchia, sorta di precorrimento dell'odierna Organizzazione delle Nazioni Unite.
Alle accuse di aver abbandonato la più genuina tradizione del pensiero politico gesuita in nome di ideali reazionari e antidemocratici, il Taparelli d'Azeglio replicò di aver sempre criticato non le forme di governo, quanto piuttosto lo spirito anticristiano che stava alla base di ogni anarchia e di ogni malinteso spirito di libertà.
A fondamento della sua concezione politica - che si potrebbe definire «morbido intransigentismo» o di «duro conciliatorismo» -, Taparelli d'Azeglio collocò i grandi principi del tomismo; e alla rivalutazione della filosofia dell'Aquinate è connesso il contributo da lui dato alla storia della pedagogia e dell'educazione. Sebbene fino al momento della soppressione dell'Ordine, la filosofia per così dire ufficiale dei Gesuiti fosse stata quella aristotelico-tomista, quando la Compagnia fu restaurata questo primato del pensiero di impostazione scolastica era tutt'altro che fuori discussione, e nell'ambiente gesuita molti ritenevano il tomismo un inutile anacronismo. Dunque, nel momento in cui Taparelli d'Azeglio, che pur si era formato in un clima filosofico contraddistinto dall'eclettismo e dal sensismo, mise mano con vero fervore a un rinnovamento in senso neotomista degli studi filosofici dei Gesuiti, andò incontro a non poche difficoltà e polemiche. Questo impegno coincise con la sua nomina a rettore del Collegio Romano, ufficio che l'obbligò a riconsiderare con attenzione la ratio studiorum della Compagnia che da sempre prescriveva, come fondamentali, i testi di Aristotele e di San Tommaso. A giudizio del Taparelli d'Azeglio, la situazione dell'insegnamento impartito nel Collegio Romano era contraddistinta da una deplorevole confusione per la quale ogni docente si sentiva autorizzato a professare la dottrina che gli appariva più convincente e, di conseguenza, a proporla agli allievi. Da ciò, a suo giudizio, scaturiva la necessità di restituire un chiaro indirizzo unitario ai diversi insegnamenti, cosa realizzabile attraverso una netta riappropriazione della filosofia scolastica, cominciando con l'instillare negli studenti un grande rispetto per essa. Quando sui primi fascicoli de La Civiltà Cattolica, che vedono la luce nel 1850, pubblica uno studio circa le Teorie sociali dell'insegnamento, il Taparelli d'Azeglio ha modo di esplicitare ancora con chiarezza le sue idee di sicuro impianto tomistico.
Così, troviamo subito un preciso collegamento tra insegnamento e verità: «Se l'umano intelletto ripugna al falso, la parola, comunicazione degl'intelletti, non ha diritto a comparire se non in quanto esprime il vero. Comunicare il vero è un atto di carità sociale; comunicare il falso un danno che si arreca alla società di qualunque grado ella sia». In questo contesto, il Taparelli d'Azeglio sottolinea l'insostituibile ruolo docente dei genitori («la comunicazione dunque dei primi veri necessari all'ordine morale è dai parenti dovuta ai figli») e della Chiesa, alla quale deve essere «assicurata la libertà di poter insegnare il vero di cui è depositaria e che, solo, può opporsi all'errore dilagante». Luigi Taparelli d'Azeglio fu un autentico protagonista della rinascita tomista nel panorama del pensiero risorgimentale italiano di matrice cattolica: a tale riguardo, appare di notevole importanza il fatto che fra i suoi discepoli vi sia stato Gioacchino Pecci, il futuro Papa Leone XIII, che nel 1879 pubblicò la celebre enciclica Aetemi Patris, sull'instaurazione, nelle scuole cattoliche, della filosofia cristiana secondo il pensiero di San Tommaso d'Aquino.
(Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli d'Azeglio, www.storialibera.it/epoca_contemporanea/ottocento/chiesa_e_rivoluzione/articolo.php?id=1963)
BIBLIOGRAFIA
Gianpaolo Dianin, Luigi Taparelli d'Azeglio (1793-1862): il significato della sua opera, Glossa 2000.
Giuseppe Bonvegna, Luigi Taparelli d'Azeglio e la questione della nazionalità, «Annali italiani», 3 (2003), pp. 13-29.
Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli d'Azeglio (1793-1862), in Voci per un Dizionario del Pensiero Forte (www.alleanzacattolica.org ).










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