Educazione
Preti perchè?
31 Gennaio 2014 - 06:00
Don Bosco, sacerdote che di lontani ne avvicinava tanti, li portava poi in confessionale. O almeno ci provava e senza tergiversare più di tanto. Si segua il suo esempio.
A fine agosto, sulle pagine di Avvenire, si è svolta una discussione suscitata dal giornalista Maurizio Blondet, il quale, prendendo spunto dai fatti di Genova, invitava certi sacerdoti che simpatizzano, fiancheggiano e solidarizzano con il popolo “antiglobal” a mutare rotta, piantarla (letterale!) con atteggiamenti equivoci e dedicarsi alla missione per la quale Dio li ha chiamati. Le tante lettere pubblicate hanno misurato l'opinione dei lettori: molti favorevoli alla tesi di Blondet, altri contrari. Nell'uno e nell'altro schieramento, molti sacerdoti. Poiché la disputa riemergerà nel bimestre settembre-ottobre, quando i lettori avranno in mano questo numero de “il Timone”, provo a dire anche la mia, preavvertendo che lo spazio a me concesso mi costringe ad una sintesi probabilmente troppo ardita. Ridotti all'osso, e sotto forma di quesito, i termini della questione mi paiono questi: il sacerdote è uno di quelli che, come scrive Blondet, “passano ore nel confessionale, danno i sacramenti, pregano, curano piaghe di cui i media non parlano, cadono e si rialzano, digiunano, resistono ed avanzano nella guerra della santità in silenzio”, oppure, per dirla con un “don” che contestava il giornalista “bazzicano anche gente che si occupa di problemi sociali, che discute di fame, di guerre e di ingiustizie, che ritiene ci sia qualcosa da cambiare in Italia e nel mondo nell'interesse dei poveri”? Tentiamo una risposta a partire da un dato certo. Per la dottrina cattolica, il sacerdote è innanzitutto colui che “compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo” (Lumen Gentium, 10). Dunque, uno si fa prete innanzitutto per celebrare la S. Messa, obbedendo al comando di Gesù, dato nel momento stesso in cui istituiva il sacerdozio: “Fate questo in memoria di me”. Ma sembra esserci dell'altro. In una sintesi che meglio non potrebbe darsi - e ci credo, vista la “Fonte” -, Gesù diede un incarico preciso ai suoi sacerdoti: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt28, 18-20). Come sempre, il Vangelo è non solo sintetico ma anche chiaro. Se lo comprendo bene, si può affermare che un sacerdote, in linea di principio, non esce dal compito affidatogli da Cristo se decide di andare, come si è visto a Genova, e con le dovute cautele, anche tra chi sventola bandiere rosse, solleva pugni chiusi, disegna falci e martello sui muri e innalza ritratti di Che Guevara; tutti simboli - è bene ricordarlo - che rimandano a tremende persecuzioni subite dai cristiani. Ma ci deve andare giusto per fare il prete, e nient'altro. Dunque: in primo luogo, per ammaestrare (nel testo originale il verbo è più esigente: “fare discepoli”) lontani e peccatori. Poi, li deve anche battezzare, cioè pubblicamente incorporare alla Chiesa, perché ai lontani non basta - stando al Vangelo - una silente compagnia, una generica presenza o una chiassosa comunella. E, infine, deve insegnare loro ad osservare ciò che Cristo ha comandato. Dal Vangelo risulta chiaramente che un prete deve essere, per volontà del Signore, un conquistatore di anime, ovunque egli si trovi, ovunque vada. Se in determinate circostanze (era il caso di Genova?) ciò non fosse oggettivamente possibile, forse è meglio che rinunci a presenziare. Ora, se è vero che molti di quelli che si dicono lontani da Dio e dalla Chiesa battezzati lo sono già (in Italia lo sono quasi tutti), il da fare per un sacerdote non manca comunque: li spronerà a vivere cristianamente, ad abbandonare il peccato, anche ad esigere, certo, pace e giustizia per il mondo, ma quelle di Cristo e non quelle di Marx. E non dimenticherà, il prete, di riportarli a Messa, confessarli frequentemente, dare loro la Comunione, invitarli a pregare e a vivere la carità cristiana. L'impressione che danno certi sacerdoti - e qui Blondet, a mio avviso, ha ragioni da vendere - è che il loro stare con i lontani si riduca, spesso, ad un “andare” per “rimanere” là dove il “lontano” si trova, senza provare a spostarlo di un millimetro, senza esortarlo a riavvicinarsi alla Chiesa, quindi ai sacramenti e alla vita di grazia. Don Bosco, un santo sacerdote che di lontani ne frequentava molti, li portava poi in confessionale. 0 almeno ci provava e senza tergiversare più di tanto. Si segua il suo esempio e di sicuro non si sbaglierà. Ovviamente, a inginocchiarci davanti al prete, peccatori come siamo, ci andremo anche noi. Non potrà che farci bene, visto che della misericordia di Gesù Cristo abbiamo sempre un gran bisogno.










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