john henry newman
SOLENNITA'
La Sanità è una cosa semplice
La festa di oggi ci ricorda che quella per il cielo non è una gara, una performance basata sulla nostra bravura, ma una risposta ad una chiamata: farci servi.
01 Novembre 2025 - 00:05
Un mio simpatico confratello, quando qualcuno gli diceva “diventa santo!”, rispondeva ironicamente: “mi manca il tempo materiale …”. Abbiamo sempre una scusa pronta per non diventare santi, talvolta la gente si rabbuia se le ricordi che siamo chiamati alla santità. Poi fa la faccia di chi dice: “Non avrebbe qualcosa da spendere meno?” alla commessa del negozio.
C’è un grande equivoco sulla santità: quello di considerarla una performance, un’opera dell’uomo, oppure il frutto di un talento eccezionale coltivato con abnegazione eroica, una perfezione frutto di una volontà di ferro e di un’intelligenza geniale. I santi sarebbero dei superuomini, gli olimpionici della fede, noi sportivi della domenica ci dobbiamo accontentare di non fare troppi danni. Il popolo cristiano allora sembra sprofondare nella mediocrità di una vita grigia, preoccupata più di non sbagliare che di brillare, brave personcine che non fanno del male a nessuno. I santi servirebbero a questo esercito di cristiani senza infamia e senza lode per ricevere qualche aiuto, qualche protesi spirituale, qualche sovvenzione per realizzare i propri progetti.
Consideriamo, però che solo Dio è (tre volte) santo, “fonte di ogni santità” … quindi tutti i santi sono in fuori gioco e ci ritroviamo tutti nella stessa barca. E allora? Come hanno fatto ad arrivare a questa desiderabile meta? Basta guardare al cursus honorum dei santi che sono sugli altari. Per diventare santo “certificato” devi essere, prima di tutto, servo di Dio, non delle tue paturnie, delle tue paure, degli idoli del mondo, dei tuoi progetti (neanche di quelli santi!). Questo ti rende beato, cioè felice, perché hai conosciuto (servendolo) un Dio che ti ama, ti stima, ti adotta come figlio. È tuo Padre! “Siate santi perché io sono Santo!” non è l’esigenza di un perfezionismo irraggiungibile, bensì la chiamata ad una comunione nell’essere e nella missione. Non sei felice/beato perché soddisfatto di te stesso, bensì perché sei figlio e ti ha associato (come l’Unigenito) all’opera più importante di tutte: la redenzione del mondo. Si diventa santi per “contagio”, per familiarità con il Santo e con i santi. C’è poi, la terza Persona della Trinità che si dedica specificatamente a quest’opera: lo Spirito Santo. Ti crea intorno un mondo visibile e invisibile di amici, alleati, maestri, consolatori, modelli perché tu possa arrivare alla santità. Infatti, la santità non è mai un fenomeno individualistico: è la Chiesa santa di Cristo che partorisce santi, non una volontà di ferro o il talento naturale o un carattere favorevole.
Quindi oggi festeggiamo la comunione dei santi, la loro compagnia beata che ci accompagna dal cielo verso la meta del nostro cammino. Diventare santi non significa appartenere ad un’élite, bensì raggiungere la meta, arrivare al compimento di sé, diventare la versione migliore possibile di se stessi, saziare il desiderio di felicità e di bene che c’è nel nostro cuore: essere salvati, in altre parole. Non è un optional! O santi o falliti. E se muoio prima di riuscire? Ne parleremo domani …











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