Riforma della Giustizia
Riforma della Giustizia
Separazione delle carriere, una svolta giusta e doverosa
La riforma della Giustizia voluta dal Ministro Nordio è stata approvata ieri, ora la parola passa agli italiani. Che hanno davanti a loro un'occasione storica
31 Ottobre 2025 - 00:11
 
												(Foto: Imagoeconomica)
Con il voto di ieri mattina in Senato - quarto passaggio parlamentare come disposto dall’articolo 138 della Costituzione - la riforma della giustizia voluta dal Ministro Nordio è stata definitivamente approvata dal Parlamento. Adesso la parola passa agli italiani che in primavera saranno chiamati ad esprimersi con il referendum confermativo, quindi senza quorum, sul nuovo assetto del potere giudiziario sancito dalla riforma. La legge di revisione costituzionale licenziata ieri dal Senato, lungi dall’essere la panacea di tutti i mali, rappresenta comunque una svolta epocale perché realizza finalmente appieno il disposto dell’articolo 111 della Costituzione che, nel disciplinare il giusto processo, stabilisce che il giudice debba essere terzo e imparziale rispetto ad accusa e difesa, parti in condizione di parità tra loro.
Va da sé che un sistema che prevede che il Pubblico Ministero e il Giudice appartengano allo stesso ordine, accedano alla funzione mediante lo stesso concorso, facciano riferimento allo stesso organo di autogoverno e di autodisciplina, votandosi ed eleggendosi a vicenda, non può che essere incompatibile con il principio cristallizzato dall’articolo 111 della Costituzione ma, ancor prima, dall’avvento nel 1989 del codice Vassalli con cui il processo penale si è trasformato da inquisitorio ad accusatorio. In quel frangente, la figura del pubblico accusatore subì una vera e propria mutazione “genetica”, così profonda da fare preconizzare già a Giovanni Falcone la necessità di separare le carriere, evitando che il Pm divenisse un “paragiudice”.
Separare la strada della magistratura giudicante da quella dei Pubblici Ministeri, creando anche due distinti Consigli Superiori della Magistratura, è dunque non solo una scelta giusta ma anche doverosa perché elimina una contraddizione intrinseca della Carta Fondamentale, che da un lato vuole il giudice terzo ed imparziale, dall’altro continua a trattarlo da collega del Pm, con buona pace dell’avvocato, del tutto estraneo a questa insolita coppia. La riforma interviene anche sulla nomina dei componenti del Csm, che viene sottratta al controllo delle correnti per essere affidata al sorteggio, e sull’organo disciplinare: a giudicare degli illeciti disciplinari dei magistrati non saranno più i loro colleghi ma una Alta Corte indipendente che porrà fine a decenni di pressoché totale impunità, anche di fronte a errori e negligenze gravissime.
Nel complesso, la riforma rappresenta una risposta immediata e concreta alle storture e agli scandali che hanno coinvolto la magistratura negli ultimi anni e punta a restituire ai cittadini fiducia nella giustizia, garantendo che il processo sia veramente giusto, il giudice imparziale e i magistrati nominati non perché appartenenti a questa o a quella corrente, ma sulla base del merito. Le proteste spesso scomposte di parti della magistratura - un ordine il cui compito è applicare la legge a cui sola sono soggetti e che quotidianamente si scaglia pubblicamente contro il potere legislativo -, sono surreali e al tempo stesso tradiscono la preoccupazione di quella che per decenni è stata la vera casta, e che oggi teme perdere i privilegi acquisiti. Non c’è alcun pericolo per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, a meno di non voler confondere questi concetti sacri con quello di impunità totale e quello di autogoverno con quello di guerra tra bande, a cui abbiamo assistito per molti anni in seno al Csm, come ha avuto modo di chiarire Luca Palamara nel suo celebre libro intervista.
Ciò che è fondamentale, adesso, è che la campagna referendaria venga il più possibile sottratta a logiche politiche e insensate polarizzazioni: spetta alla società civile, agli avvocati del libero Foro, ai cittadini, attivarsi per fare in modo che questa riforma di civiltà giuridica trovi la dovuta consacrazione con l’imminente referendum. Il network “Ditelo sui tetti” che raccoglie oltre 100 associazioni cattoliche, ha già annunciato la costituzione di comitati civici per il Sì al referendum. L’avvocatura non farà mancare il suo contributo per una battaglia che si è intestata da decenni. Smontare i teoremi della magistratura è possibile solo dialogando coi cittadini. La vittoria è più che alla portata. Ma oggi pensiamo a gioire, il primo passo è stato fatto.
 
 
			 
						










 
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