I circa 2.500 km che separano l’Italia dalla Scozia, in questi giorni, sono scomparsi. Esistono solo virtualmente. Eh già, perché in entrambi questi Paesi, nei quali la rappresentanza cristiana è maggioritaria nella popolazione, c’è un rischio per nulla trascurabile: quello che la libertà religiosa e di pensiero venga pesantemente minata, soprattutto nella misura in cui manifestata oltre i perimetri delle chiese.
Da noi questo rischio è rappresentato dall’ormai noto ddl Zan-Scalfarotto, un provvedimento che da un lato intende perseguire le «discriminazioni» basate sull’«identità di genere» ma, dall’altro, non entra nel merito, lasciando le porte pericolosamente aperte all’arbitrio della magistratura e alla possibilità che affermare la dottrina cristiana sul matrimonio o sulla sessualità possa, in futuro, costare molto caro.
Se n’è accorta anche la Commissione Affari costituzionali che, chiamata dalla Commissione Giustizia ad esprimere un parere, si è sì detta a favore del provvedimento, ma lo ha fatto esortando il Parlamento a «chiarire più puntualmente che non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee», a fare lo stesso sui «confini tra le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa».
Due rilievi sovrapponibili in tutto e per tutto, guarda caso, a quelli dei critici della norma, che ne lamentano l’eccessiva fumosità a beneficio dell’arbitrio dei giudici e a scapito dei diritti anche di libertà del cittadino. Ciò nonostante lunedì prossimo, 3 agosto, il ddl Zan sarà discusso alla Camera, con la maggioranza di governo che purtroppo al momento procede compatta, a differenza delle opposizioni, dove Forza Italia sembra voler procedere in ordine sparso. Questo per stare all’Italia.
In Scozia, però, le cose non vanno molto meglio. Tutt’altro. Infatti, rischia di essere approvato l’Hate Crime and Public Order Bill, un nuovo progetto di legge sui crimini d’odio e l’ordine pubblico caratterizzato dal fatto che, come nel ddl Zan-Scalfarotto, le definizioni che contiene appaiono così vaghe da lasciare aperta la possibilità che, per esempio, lettura e diffusione di testi religiosi come la Bibbia e il Catechismo della Chiesa cattolica possano, in futuro, essere perseguite alla stregua di condotte di «istigazione all’odio».
Tale preoccupazione è così concreta che la Conferenza episcopale di Scozia, in una relazione sottoposta alla Commissione Giustizia del Parlamento scozzese ha esortato i rappresentanti politici a tenere presente che ogni nuova legge deve essere «attentamente soppesata con riguardo alle libertà fondamentali, come il diritto alla libertà di parola, la libertà di espressione e la libertà di pensiero, di coscienza e di religione».
Da parte sua, Anthony Horan, direttore del Catholic Parliamentary Office, ha fatto presente come con l’Hate Crime and Public Order Bill si rischia la trasformazione della Scozia di una «società intollerante e illiberale». Ciò nonostante, proprio come fa quello italiano con la legge contro l’omotransfobia, anche il governo scozzese non sembra intenzionato a fare un passo indietro. Con la conseguenza, come si diceva all’inizio, che oggi Italia e Scozia sono vicinissime. Perché la libertà religiosa minacciata in entrambi i Paesi è la stessa: quella di professare la fede cristiana e di poter affermare le – laicissime, a ben vedere – verità antropologiche fondamentali sulla famiglia senza il timore di denunce, perquisizioni o processi.
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