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Astensionismo, cresce la percezione di un voto inutile
NEWS 6 Ottobre 2021    di Lorenzo Bertocchi

Astensionismo, cresce la percezione di un voto inutile

Il dato nazionale parla di una percentuale di votanti al primo turno delle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre che si attesta al 54,69%. Ma questo numero non dice tutto, perché in alcune realtà comunali abbiamo dei veri e propri record storici dell’astensionismo, nelle grandi città solo Bologna ha superato il 50%, ma fermandosi a un 51,16% che per la città emiliana è una débâcle.

A Milano ha votato il 47,69% degli aventi diritto, a Roma il 48,3%, a Torino il 48,6%, a Siena il segretario del Pd, Enirco Letta, è stato eletto nelle suppletive per la Camera con appena il 35,9% dei votanti. Una tendenza consolidata quella della scarsa partecipazione al voto, ma questa volta si è toccato il fondo. Sembra che «la partecipazione» alla vita pubblica per molti non si esprima più nel recarsi alle urne. Anche questa, parafrasando Gaber, è libertà? E da cattolici, come possiamo interpretare questa situazione? Lo abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori del Timone, persuasi che l’offerta politica ha certamente qualche problema a incontrare la domanda degli elettori.

«Quello dell’astensione è un fenomeno che parte da lontano e cresce a ogni elezione», ci dice Alfredo Mantovano, giudice e vice presidente del Centro Studi Livatino. «Nel turno del 3 e 4 ottobre colpisce in modo particolare, perché il voto per il sindaco in passato era molto partecipato. Se in media un elettore su due resta a casa è perché ritiene che il suo voto sia inutile, sono molte le ragioni di questa percezione. Sul piano politico nazionale come su quello territoriale», prosegue Mantovano, «gli eletti si mostrano spesso non in grado di mantenere gli impegni assunti; non necessariamente per cattiva volontà, ma perché: stretti da vincoli, anzitutto di provenienza Ue, che ne limitano fortemente l’operatività; fortemente condizionati da interventi, ipotetici o effettivi, della magistratura, in presenza di norme incriminatrici troppo vaghe; non assistiti da una burocrazia locale efficace; non dotati essi stessi di un profilo professionale e di una esperienza tali da poter affrontare le sfide poste dal ruolo. Sul piano strettamente politico, l’incremento dell’astensione – nelle grandi città non a caso più accentuato nelle periferie – è anche il risvolto della delusione dei consensi in precedenti tornate elettorali generosamente concessi a partiti e candidati che si presentavano come ‘anti-sistema’, e che poi da un lato hanno mostrato incapacità ad amministrare, dall’altro si sono accomodati nel ‘sistema’, accettandone imposizioni e condizionamenti. La protesta ideologizzata non paga a medio-lungo termine, e restare a casa è l’esito più ovvio se l’alternativa cui l’elettore è posto è fra il ‘vecchio’ che viene riproposto e il ‘nuovo’ che toglie l’abito barricadiero e si attovaglia pure lui».

Per Francesco Agnoli, professore e giornalista, «dopo i grandi cambiamenti accade spesso che la gente senta quasi un rifiuto per il passato e voglia qualcosa di nuovo. Churchill portò l’Inghilterra alla vittoria, ma la gente voleva dimenticare la guerra e cambiare. Così anche in Italia: furono le novità, cioè il PPi nel 1919 e la DC nel 1945 a catturare le speranze. Oggi nessuno ha offerto speranza: i 5 stelle hanno dimostrato di vendere fumo e menzogne, Lega e FdI sono stati logorati dalla loro rivalità e da una campagna mediatica costruita ad arte, ma che ne rivela i profondi limiti. Il Pd tiene perché è ancora il partito del potere, dei media, degli appoggi internazionali…tiene, ma non scalda il cuore a nessuno».

«Il cittadino non va più a votare quando si rende conto che è inutile, ossia che c’è un “sistema” che il suo voto non riuscirà a scalfire», è il punto di vista di Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della chiesa. «Oggi questa convinzione è molto diffusa specialmente tra i cattolici non progressisti. Non c’è opposizione, non c’è alternativa, la strumentalizzazione della politica in epoca di covid e di vaccinazione non ha trovato contrasti, governa chi non è più rappresentato nel Paese, gli accordi politici determinano anche il prossimo settennato al Quirinale, sui cosiddetti “valori” tutti i partiti sono negativamente uguali, la dipendenza dall’Unione europea continua imperterrita, la cultura dominante continua ad essere il progressismo nichilista, la grande stampa è uniformata e non fa più pensare. Nel grigiore imperante è logico che non si vada a votare. Bisogna solo sperare che nascano qua e là nel paese iniziative politiche nuove, magari piccole per ora, ma promettenti. Ma fuori sistema».

Per Francesco Giubilei, editore e opinionista, «il dato record dell’astensione dovrebbe far riflettere tutti i partiti perché è significativo di un sentimento di disillusione nei confronti della politica che si sta sempre di più diffondendo nel paese. In uno scenario di bassa affluenza ad essere privilegiati sono i partiti più strutturati come il Partito Democratico. Di contro il crollo del Movimento 5s nasce anche dal fatto che molti dei suoi elettori, delusi dall’amministrazione sui territori e dalla linea nazionale che ha sconfessato tante delle battaglie della prima ora, non si è recata alle urne. C’è poi un altro elemento da tenere in considerazione: lo scenario politico nel giro di un anno e mezzo è radicalmente cambiato e il covid ha contribuito a depotenziare posizioni populiste. È evidente che qualcosa non ha funzionato nel centrodestra, a partire dalla scelta dei candidati nei principali comuni, ma c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione. Una parte dell’elettorato del centrodestra non si è recato alle urne sia perché non attratto dai candidati sia perché non ha gradito certe posizioni della coalizione negli ultimi mesi. È necessario che il centrodestra torni a parlare alla classe media e a un elettorato che storicamente lo votava ma che oggi si è spostato a sinistra evitando di farsi influenzare eccessivamente da dinamiche e posizioni in voga sui social network che rappresentano però una bolla».

Per Massimo Gandolfini, leader del Family day, «il mondo pro life e pro family che mi sento di rappresentare è profondamente deluso dalla classe politica attuale, incapace di comprendere e sostenere serie azioni in difesa della vita e della famiglia. Salvo rare eccezioni, il mondo del centro-sinistra sta promuovendo politiche sociali di vera sovversione antropologica, penso all’educazione gender nelle scuole e all’eutanasia, passando per la legalizzazione della droga e all’equiparazione della famiglia naturale con le unioni civili, con tanto di “diritto” all’adozione dei bimbi – e il mondo del centro destra è chiamato a fare una chiara scelta di campo anche candidando e sostenendo persone che davvero credono ai valori della famiglia e delle vita. Il popolo del Family day attendo di vedere chi veramente lo rappresenta, con politiche sociali ed economiche che promuovano questi valori».

Infine il parere di don Samuele Pinna, sacerdote milanese. «L’astensione di questa tornata elettorale è ancora il segnale di una marcata distanza della politica dalla vita reale. Lo si ripete spesso, ma in una società sempre più individualista vengono a mancare quei valori (non negoziabili) su cui si basa la storia e, quindi, il futuro di un Paese. E rimane la spettacolarizzazione della politica coi suoi personalismi che portano a continue evoluzioni e, al contempo, a una disaffezione verso la politica stessa (non connotata ideologicamente). Prese di posizione si susseguono e si contraddicono, riproponendo gli stessi temi (crisi economica, lavoro, ecc.) con soluzioni annunciate e mai realizzate (da decenni). La vera questione è forse di altro ordine, quello valoriale: senza riconoscere chi è l’uomo non si possono cambiare o migliorare le strutture. Il tentativo (avanzato) dell’ideologia del transumanesimo ha portato, anche oggi, i suoi frutti: ciò che conta è l’individuo con i suoi diritti, tralasciandone scientemente i doveri».


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