Da un’idea di don Samuele Pinna ha preso vita “Dietro le quinte”, una rubrica senza periodicità che vuole incontrare quei personaggi importanti che lavorano per il bene e non sempre appaiono in prima fila, ma appunto sono spesso “dietro le quinte”. Dopo la prima puntata – che ha visto protagonista il nuovo Vicario episcopale per la zona pastorale di Milano, monsignor Giuseppe Vegezzi -, la seconda – con la signora Maria Amata Vasaturo in Pedersoli -, la terza – con Wilma De Angelis – oggi pubblichiamo la quarta.
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Nel libro di Paolo Gulisano intitolato Clive Staple Lewis. Nella terra delle ombre (Ares, 2023) viene precisato che il mito «non è una pura evasione dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia, ma è forse l’occasione per volgere lo sguardo verso cose grandi, verso noi stessi e la nostra anima assetata di Bellezza, verso le stelle, cercando i segni del nostro destino» (p. 20).
Incontro l’autore di questa biografia e domando a bruciapelo se la letteratura del fantastico di scrittori del calibro di J.R.R. Tolkien, di G.K. Chesterton e, per l’appunto, C.S. Lewis non sia da catalogare come “letture per bambini”: «No – è la replica secca –, al contrario Tolkien e Lewis hanno ridato vita al Mito e all’Epica, che non è una fuga dalla realtà, o una narrativa per bambini, ma è sempre un racconto universalizzato della condizione, dei sentimenti, dell’animo dell’uomo, una narrazione esemplare della parabola umana. Il racconto fantastico, sia che si tratti di fiaba o di narrazione epica e leggendaria, è sempre in qualche modo espressione umana sottesa tra il sacro e il profano, a partire dal linguaggio, che reca sempre in sé le tracce di arcaici miti, fino ai contenuti, che sono comunque e sempre quelli del fantastico, ossia dell’irruzione, oscura e inquietante oppure solare e confortante, di un evento soprannaturale nella realtà quotidiana. Non c’è generazione di lettori (o di spettatori) la quale, a dispetto di tutte le mode, non senta la suggestione dell’elemento fantastico, mitico, fiabesco: un tipo di letteratura portatrice di una sapienza antichissima, che mimetizza i suoi contenuti nel linguaggio apparentemente semplice e infantile delle fiabe. Nel mito c’è inoltre una trasfigurazione della storia, di storie e personaggi realmente esistiti che diventano, assumendo sembianze leggendarie, modelli, paradigmi, protagonisti di storie esemplari che ci ricordano le nostre origini, o ci mostrano i valori più importanti per i quali vale la pena vivere, e il significato delle cose da ricercare nelle vicende del mondo».
Osservo da vicino il dottor Gulisano, medico stimato e saggista dalla penna prolifica, e scorgo il ritratto della serenità e della pacatezza, nonostante le sue riflessioni non siano mai banali né scontate. Interrogo ancora sul tema della letteratura: qual è il segreto di quella cosiddetta “grande”? «In un bellissimo film di diversi anni fa, Viaggio in Inghilterra, in cui si racconta una parte significativa della vita di C.S. Lewis, viene pronunciata questa frase: “Leggiamo per sapere di non essere soli”. Mi sembra che dica significativamente cosa sia la letteratura: un confronto con altre esperienze, una scoperta della realtà, un viaggio con l’immaginazione in scenari, sentimenti, esistenze, che ci aprono gli occhi a più ampie prospettive e conoscenze. Per quanto mi riguarda personalmente, fin da bambino ho divorato quasi avidamente i libri, pieno di desiderio di conoscere la realtà. Il segreto della grande letteratura sta proprio nella capacità di rispondere al desiderio di incontrare il bene, il bello, il buono, che è presente in ogni lettore; la capacità di trasmettere valori umani profondi che ci avvincano, ci insegnino qualcosa, ci commuovano».
La risposta mi dà il La per rilanciare e insieme approfondire una questione a me cara: si possono – e come – coniugare letteratura e fede? Gulisanosale in cattedra: «La letteratura può essere un mezzo efficacissimo per testimoniare la fede. Sia che sia raccontata in modo esplicito, come fa Guareschi nella saga di Mondo Piccolo attraverso don Camillo e Peppone, sia che venga narrata in modo simbolico, come fa Lewis nelle Cronache di Narnia, con il leone Aslan che rappresenta la potenza salvifica divina, sia attraverso le virtù cristiane degli eroi de Il Signore degli Anelli. In fondo, anche il Vangelo è anzitutto narrazione, racconto, parabola, non discettazione filosofica. La letteratura è in grado di mostrare il senso religioso dell’esistenza, e attrarre a esso».
Mi faccio pensoso e mi arrovello sul motivo per cui, almeno in Occidente, sembra venire meno la fede cattolica, nonostante la ricchezza immensa del patrimonio culturale di indubbia matrice cristiana: «La fede cattolica – sono edotto – da duemila anni testimonia al mondo che Gesù Cristo, il figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, è la nostra salvezza. Generazioni di cristiani hanno vissuto con questa consapevolezza, che ora sta venendo meno. La Chiesa è sempre di più una agenzia di servizi e non il luogo concreto dove si possa incontrare questa salvezza, nella concretezza della preghiera, dei Sacramenti, della liturgia. Si fa sempre più largo un’idolatria che volta le spalle a Cristo e venera gli idoli. Come diceva il grande poeta Eliot, il potere, la lussuria, il denaro. Eppure gli uomini restano ancora disperatamente bisognosi di salvezza, di un significato alle loro vite. La fede viene meno perché fortemente avversata dal mondo, ma anche perché si sta indebolendo dall’interno».
L’antidoto al veleno della mondanità – suggeriva Chesterton – è il Santo: «Sì, i santi ci indicano la strada da percorrere. Sono sempre stato colpito dalla testimonianza dei santi: il mio primo libro fu sui martiri messicani degli anni Venti del secolo scorso, i Cristeros. Poi ho cercato di raccontare le vicende dei santi medici, in particolare Giuseppe Moscati, una figura attualissima in un momento in cui la Medicina sta perdendo la sua caratteristica principale – che è l’arte del prendersi cura – per diventare sempre più una tecnica. Il santo ci mostra come vivere, e come morire. Ci mostra come seguire Cristo per avere il centuplo quaggiù, nonostante difficoltà, sofferenze e spesso persecuzioni, e conquistare la gloria dell’eternità». Nel contesto odierno pare esserci una nuova (ma già vecchia) “divinità”: la Scienza.
Al fondatore e vicepresidente della Società Chestertoniana Italiana chiedo lumi: «La scienza (anzi: le scienze, perché sono numerose e tutte diverse l’una dall’altra) è solo uno strumento, un mezzo che l’uomo ha a disposizione per esplorare, conoscere, comprendere la realtà. Il mezzo quindi non può essere un fine. Ho sentito usare negli ultimi anni questa espressione: “fede nella Scienza”. È una forma di idolatria, una delle tante nell’attuale scenario di neo paganesimo nel quale viviamo. La scienza da mero strumento diventa un idolo da adorare, a cui chiedere in cambio (l’idolatria è sempre un tragico Do ut des) il potere. Lewis descrisse già nel 1943 nel suo volume L’abolizione dell’uomo questo rischio». Insisto: una fiducia cieca, e quindi irrazionale, nella Scienza cosa può comportare? «La pretesa – mi vien riferito – di sostituirsi a Dio. L’ideologia transumanista, la più pericolosa che sia mai stata concepita da mente umana, che nasce dal disprezzo per l’uomo così com’è e dall’odio per Dio, che secondo questa visione ha fatto le cose male, e deve quindi essere corretto dallo scienziato, vuole trasformare radicalmente l’umanità attraverso la tecnica».
Eppure non ogni progresso è per forza negativo. Invito, pertanto, il mio interlocutore a spiegare il rapporto tra scienza e fede: «Secondo lo scientismo che impera da oltre duecento anni, la scienza e la religione sono realtà incompatibili. La religione è una forma di debolezza della mente umana, mentre la scienza è una sorta di principio assoluto, la “divinità” autentica. In realtà gli strumenti di conoscenza, ovvero le scienze, dalla biologia alla matematica, dalla sociologia alla fisica, non sono in contrasto con la ricerca della verità, che porta a Dio. Tutta la storia della ricerca scientifica è lì a dimostrarlo». Nessuna persona onesta intellettualmente può negare la confusione di oggi a tutti i livelli, anche a quello ecclesiale.
Prego così l’epidemiologo scrittore seduto davanti a me di prescrivermi una ricetta per la conservazione della sanità mentale: «Nel suo capolavoro, Il Signore degli Anelli, che è il racconto epico di un periodo di transizione, che rappresenta un autentico manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della Modernità, Tolkien ci offre queste battute scambiate tra Eomer e Aragorn: “Come può l’uomo giudicare che cosa deve fare in tempi come questi?”, chiede il cavaliere di Rohan e l’uomo destinato a essere Re giusto gli risponde: “Come ha sempre giudicato: il bene e il male non sono cambiati nel giro di un anno e non sono una cosa presso gli elfi e i nani e un’altra tra gli uomini. Tocca ad ognuno di noi discernerli”. Dobbiamo aderire con tutte le nostre energie e con tutto il nostro cuore alla Verità, che si è rivelata duemila anni fa. Un celebre esponente del cattolicesimo modernista disse che la Chiesa è indietro di duecento anni, concludendo che dovrebbe drasticamente ammodernarsi e andare avanti (verso dove?). Io invece penso che dovrebbe tornare indietro di secoli, attraverso la testimonianza dei grandi santi. Duecento anni fa c’era don Bosco, che non era male, e ottocento anni fa san Domenico, san Tommaso d’Aquino, san Francesco d’Assisi, e milleseicento anni fa sant’Agostino. Più la Chiesa recupera le sue radici profonde, più sarà credente, e più sarà credibile, evitando l’abbraccio mortale del Mondo».
L’eloquio sciolto mi convince e rialzo la posta: vorrei concludere con un messaggio che non sappia di retorica, ma sia capace di offrire una propositiva spinta per aiutare ad alzarsi da ogni pigrizia e combattere la buona battaglia: «Rilancerei anzitutto – mi dice colui che è tra i massimi esperti in Italia dell’opera tolkieniana – il messaggio affascinante, coraggioso, eroico trasmesso da Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”».
(Fonte foto: Facebook)
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