Aiuto alla Chiesa che soffre stima che il 40 per cento del Burkina Faso sia controllato da terroristi. I continui attacchi hanno costretto oltre due milioni di persone, circa il 10 per cento della popolazione, a fuggire. Dal 2015 sono state almeno 20.000 le persone rimaste uccise negli attacchi jihadisti nel Paese. Inoltre, stando all’ultimo rapporto del Global terrorism index (Gti), il Burkina Faso è il secondo Paese al mondo più colpito dal terrorismo, dopo l’Afghanistan. Nel Burkina Faso settentrionale, il 25 febbraio, 170 persone sono state giustiziate in massicci attacchi omicidi contro tre villaggi nel corso di un solo giorno. Lo stesso giorno sono stati commessi massacri in una moschea e in una chiesa nel Paese del Sahel, guidati da una giunta militare golpista.
In un comunicato stampa pubblicato ieri, il procuratore di Ouahigouya (nord), Aly Benjamin Coulibaly, scrive di essere stato informato il 25 febbraio di «massicci attacchi omicidi che sarebbero stati commessi nei villaggi di Komsilga, Nodin e Soroe» nella provincia Yatenga della regione settentrionale. Nonostante la campagna omicida dei gruppi jihadisti la fede del popolo non è venuta meno, anzi, l’opposto. Questo è quanto ha raccontato il vescovo Justin Kientega di Ouahigouya durante una conferenza stampa online del 28 febbraio organizzata da Aiuto alla Chiesa che soffre. «La fede è cresciuta, alcuni cristiani hanno accettato di morire», ha detto il vescovo. «In alcuni luoghi le donne cristiane sono state obbligate a coprirsi, ma si rifiutavano di convertirsi all’Islam. Cercando sempre di trovare altri modi per vivere la loro fede e pregare», ha proseguito Kientega. Il dato che emerge con forza è che «i cristiani non si stanno convertendo all’Islam», ha detto il vescovo.
Kientega ha parlato a lungo delle tecniche che i jihadisti usano per imporre la loro ideologia islamica radicale. Dicono ai cristiani e alla popolazione in generale di non andare a scuola, di non obbedire all’amministrazione, e a volte intimano di lasciare i propri villaggi e non tornare più. Istruiscono gli uomini a farsi crescere la barba e le donne a indossare il velo islamico. «A volte prendono una persona e la uccidono di fronte a tutti», come atto intimidatorio, ha riferito il vescovo.
Kientega ha poi raccontato che «somministrano ancora i sacramenti e la Caritas sta cercando con grande difficoltà di rispondere ai bisogni della gente» ha detto il vescovo. «La Chiesa è lì nel cuore del mondo, nei dolori e nelle gioie delle persone e cerchiamo davvero di vivere la nostra fede con resilienza». «Non c’è libertà di culto», ha poi spiegato che in alcune comunità gli abitanti del villaggio sono autorizzati a pregare, ma è vietato insegnare la fede cristiana. Ha detto che due parrocchie sono state chiuse nella sua diocesi «perché i sacerdoti dovevano andarsene e altre due sono bloccate, nessuno può entrare o uscire».
In questa situazione così precaria, la Chiesa cerca di accogliere gli sfollati fornendo loro cibo, vestiti e riparo. «Nelle città, la Chiesa cerca di accogliere coloro che sono sfollati dai loro villaggi. Lavora anche sui modi per aiutare le persone a uscire dalla povertà, perché la povertà è un terreno in cui questo terrorismo crescerà», ha affermato. Ha spiegato che molti giovani sono attirati a unirsi alle organizzazioni terroristiche per sfuggire alla povertà e alle vane promesse di una vita migliore. Per continuare a svolgere la sua missione evangelizzatrice, la Chiesa ha modificato gli orari delle messe in modo che siano meno accessibili ai terroristi, con anche l’ausilio di stazioni radio per aiutare il popolo ad ascoltare la Parola di Dio, Ha elogiato poi gli sforzi delle autorità amministrative, dei militari e dell’aiuto alla Chiesa per non essersi mai risparmiata nell’aiutare questa parte della Chiesa che è perseguitata.
Kientega ha detto che la presenza della Chiesa in mezzo a tali difficoltà è «un segno di speranza per molte persone». Papa Francesco ha espresso vicinanza spirituale al popolo del Burkina Faso dopo gli ultimi attacchi, in particolare con un telegramma inviato a suo nome dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ha ribadito la sua ferma convinzione che «l’odio non è la soluzione ai conflitti» e ha chiesto «la lotta contro la violenza al fine di promuovere i valori della pace». «Sappiamo che il Papa è vicino a noi e sentiamo la presenza della Chiesa universale», ha detto Kitenga, menzionando poi Aiuto alla Chiesa che soffre: «Otteniamo aiuto da Acn, che ci porta le cose di cui abbiamo bisogno. Ma la cosa principale è pregare che il Signore tocchi i cuori di questi terroristi. Preghiamo per la loro conversione ogni giorno. Questo è molto importante, che possano convertirsi», ha concluso.
(Fonte foto: Screenshot Cuore Amico/EWTN, YouTube)
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