Uno spettro s’aggira per i campus americani: quello dell’antirazzismo ideologico. Per la verità, non è neppure un fantasma, bensì una sorta di Grande Fratello, pronto a silurare chiunque risulti disallineato rispetto al galateo del politicamente corretto: anche se solo per errore. Per maggiori informazioni, rivolgersi a Christopher Trogan, 46 anni, ex docente alla Fordham University. Sì, perché Trogan è stato licenziato semplicemente dopo aver «confuso i nomi di due studenti neri in classe».
Viene da non crederci, eppure le cronache statunitensi, a partire da quanto riferisce l’autorevole New York Post, paiono chiare. Il tutto sarebbe avvenuto a fine settembre, precisamente il 24, quando, appunto, il professore avrebbe confuso i nomi di due suoi allievi. Un banale incidente a seguito del quale Trogan, sapendo l’aria che tira, si sarebbe profuso in lunghe scuse agli interessati via mail che, con il senno di poi, hanno peggiorato la situazione, lasciando intendere che il docente si fosse reso autore di chissà quale offesa.
«In realtà non eravamo così arrabbiati per il fatto che avesse scambiato i nostri nomi», ha dichiarato la matricola Chantal Sims, una dei due studenti coinvolti nella vicenda, mentre l’altro, che ha chiesto di rimanere anonimo per motivi di privacy, ha affermato che Trogan ha ripetutamente sbagliato il loro nome nel corso di quattro lezioni. Sia come sia, il docente non pare aver commesso nessuna forma di violenza o aggressione verbale. Eppure oggi è solo un ex insegnante della Fordham University, cosa che desta in lui doppia amarezza visto che, rispetto ai procedimenti interni aperti a suo carico, egli era «stato tenuto completamente all’oscuro».
Il punto è che ormai negli Usa, complice la diffusione dell’ideologia woke – il braccio armato, si potrebbe dire, della cultura dominante liberal e progressista – il siluramento dei professori che, spesso senza saperlo, «offendono», è qualcosa di oramai all’ordine del giorno.
Basti pensare che, secondo un’accurata analisi eseguita dai ricercatori Komi German e Sean Stevens per conto della Fire – acronimo che sta per Foundation for Individual Rights in Education – dal 2015 al luglio 2021 i docenti e studiosi statunitensi licenziati, contestati o ammoniti sono stati centinaia. Per la precisione, 426. Un numero enorme, che pone un significativo problema di libertà di pensiero, in ambito accademico e non solo.
Significativo, rispetto a questo, quanto recentemente riportato su American Conservative dallo scrittore Rod Dreher, il quale ha riferito di aver scambiato due parole con un docente, peraltro di orientamento progressista, il quale gli ha confidato che nella sua università «tutti hanno paura di essere accusati di razzismo, se a uno studente di colore non piace il suo voto. C’è un’ansia profonda su questo». Sempre Dreher, ha scritto di un accademico a cui il preside ha intimato di alzare il voto a un allievo di colore. «Eredità dell’oppressione», sono le parole che questo docente si è sentito pronunciare dal dirigente per motivare lo scarso rendimento del suo studente, da appianarsi con una votazione più elevata di quella meritata.
Tutto assurdo, se oggi non bastasse davvero un niente per esser accusati di razzismo. Basti pensare a quanto accaduto al giudice della Corte Suprema Amy Coney Barrett, che è stata addirittura tacciata – dopo aver adottato ben due figli – d’essere una «colonialista bianca» che preleva i figli neri dalla loro patria per farsi bella agli occhi del mondo e a scapito dei «genitori biologici» di costoro, che vengono «tagliati fuori».
Ecco, se questo è l’andazzo, la surreale vicenda del professor Trogan appare un po’ meno surreale. Ciò però nulla toglie a un’intolleranza sempre più spietata che, dapprima dilagata con il fine di impedire di discriminare, oggi non consente neppure più di sbagliare.
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