La Chiesa cattolica ha il suo 267° pontefice. L’ha comunicato al mondo la fumata bianca 18:08. Si tratta del primo americano della storia: Robert Francis Prevost, 69 anni. E tra le tante cose che potremmo dire di lui - che si è affacciato sul Piazza San Pietro ripetendo più volte la parola «pace» -, come Timone decidiamo oggi di partire dalla più semplice: il nome. Ora, «Francesco», il nome scelto da Jorge Mario Bergoglio, fu molto più di un nome. A suo modo, fu un marchio: un segno di rottura con il passato - non c’era mai stato un Papa chiamato così - e anche un programma rispetto ai suoi dodici anni di pontificato.
Invece Robert Francis Prevost, pur onorando - e citando - il suo predecessore al soglio petrino, ha scelto un nome che si inserisce nel solco della tradizione della Chiesa: quello di Leone. Un nome che significa tante cose: Leone I fermò i barbari di Attila e confermò Roma come centro del cristianesimo; Leone X scomunicò Martin Lutero; Leone XIII fu iniziatore della Dottrina Sociale della Chiesa con la Rerum Novarum e zelantissimo nemico della Massoneria con diverse encicliche, su tutte la Humanum Genus. Per questo, per quante valutazioni, ricerche si possano fare in questo momento - per quanto possano contare le prime impressioni (ciascuno ha la propria) - il primo dato certo è che Papa Prevost ha scelto di richiamarsi in modo forte alla tradizione della Chiesa.
Certo, non sono mancati richiami alla «Chiesa sinodale» di Papa Francesco, nel primo affaccio di Leone XIV. Ed è altresì vero come nella biografia di questo cardinale americano non mancano forti elementi di sintonia con quella che potrebbe apparire, usando una categoria abusata e generica, una agenda progressista. Tuttavia, in Rete già emergono spunti che sembrano andare, se non in una direzione opposta, quanto meno non così schierata. Per esempio - anche sorvolando sul non trascurabile elemento dell’Ave Maria che ha fatto recitare a tutti i fedeli, impartendo la benedizione - , c’è chi ha fatto notare come pur onorando Francesco, ci sono alcuni dubbi sul sostegno effettivo di Prevost ai diritti Lgbt, che non è mai stato estremo.
Nel passato del nuovo pontefice, infatti, troviamo anche prese di posizione che vanno in direzione totalmente opposta. Per esempio, nel 2012, durante un incontro di vescovi, Prevost si era «lamentato del fatto che i media occidentali e la cultura popolare fomentassero simpatia per credenze e pratiche in contrasto con il Vangelo», secondo quanto ha riportato il New York Times. In tale circostanza, il futuro pontefice aveva menzionato specificamente lo «stile di vita omosessuale» e le «famiglie alternative composte da partner dello stesso sesso e dai loro figli adottivi». Non è tutto.
Come vescovo di Chiclayo, in Perù, Prevost si è opposto a un piano per insegnare il genere nelle scuole, affermando: «La promozione dell’ideologia del genere è fonte di confusione, perché cerca di creare generi che non esistono». Prima che qualcuno tenti insomma di presentare il nuovo Pontefice come una icona progressista fatta e finita, ecco, consigliamo prudenza. E invitiamo tutti a riflettere su quel nome, così forte ed identitario, con cui si è presentato al mondo. E naturalmente invitiamo anche a pregare per lui e per il bene della Chiesa, che - non va mai dimenticato - ha il suo vero capo, del quale ogni Papa non è che vicario, in Gesù Cristo (Foto: Facebook)
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