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Il nuovo femminismo diventa rinuncia al sesso
NEWS 25 Maggio 2024    di Paola Belletti

Il nuovo femminismo diventa rinuncia al sesso

Troppi movimenti, troppe sigle, quasi non ci si sta dietro. Tra le ultime con numerosi contenuti e milioni di visualizzazioni sul social della Gen Z, Tik Tok, si fa notare questa: il celibato volontario. L’hashtag principale che lo identifica negli Usa, dove è nata, e nel mondo occidentale dove si sta diffondendo è #boysober. Perché di ricercata sobrietà dopo la sbronza del sesso libero e occasionale si tratta, ma anche di gesto di protesta contro la violenza di genere e la dipendenza dall’approvazione maschile, dicono. Gli fa eco, dall’altro lato del globo, il movimento 4B, nato già nel 2019, delle donne sud-coreane che infilano quattro no, tutti rivolti al maschio, alla relazione con esemplari della categoria, e agli esiti che da questa dipendono, matrimonio e parto compresi. Una zappata ben assestata esattamente sui propri piedi, che male.

Il rischio più che evidente, a guardare il fenomeno nel suo insieme, è quello di una sterilizzazione non chirurgica di massa e volontaria, con esiti suicidari per l’intera compagine umana. Nessuna relazione tra uomo e donna, nessun concepimento, nessuna nuova vita. E avviene soprattutto in paesi dove il problema della denatalità e del tracollo demografico sono diventati IL problema.  Di questo fenomeno parla anche il The Guardian online del 21 maggio che ne ricostruisce il casus belli perché ancora una volta, quando si tratta dell’emancipazione femminile, la metafora che prevale su tutte è quella di una guerra aperta tra i sessi: «Bumble, l’app di appuntamenti che una volta si definiva un faro per l’emancipazione delle donne perché le donne eterosessuali dovevano fare la prima mossa, sembra aver perso il promemoria. Qualche settimana fa l’azienda ha lanciato una campagna pubblicitaria globale il cui scopo sembrava essere quello di rendere di nuovo grande il sesso occasionale. “Un voto di celibato non è la risposta”, si leggeva su un cartellone pubblicitario. “Non rinuncerai a uscire e diventerai una suora”, proclamava un altro». Nulla di strano, alla fine: stava cercando di dare nuovo slancio al suo core business.

La campagna pubblicitaria, in questa nuova era di bigottismo del politicamente corretto, ha suscitato sdegno e levate di scudi: per alcuni questa forma dichiarata di astinenza sessuale può essere interpretata come risposta al trauma, intendendo probabilmente quello dell’abuso maschile o della sua mera eventualità. Nessuna banalizzazione, sia chiaro. Quando esso avviene è spaventoso ed esecrabile senza alcuna attenuante. Ma nemmeno le solite generalizzazioni d’ufficio a danno di tutta la categoria, che diamine. «Altri hanno notato che astenersi dal sesso potrebbe essere una mossa intelligente negli Stati Uniti post-Roe, dove un incidente potrebbe significare che sei costretto da leggi repressive a dare alla luce un bambino per il quale non sei pronto e che non puoi permetterti».

Addirittura: l’aborto e le limitazioni che lo riguardano diventano la lente dalla quale vedere – deformata – ogni realtà che riguardi le donne. Come già abbiamo visto accadere per chiunque si azzardasse a parlare di famiglia tradizionale (che poi sarebbe naturale, ma va be’) senza finire ogni salmo pubblicitario con il Gloria che inneggia alle famiglie omosessuali, anche in questo caso l’azienda ha “dovuto” spontaneamente ritrattare, scusarsi e fare donazioni a enti contro la violenza sulle donne.

Peccato, perché forse questo fenomeno meriterebbe un’attenzione più seria e una vera presa in carico: rinunciare volontariamente all’impulso più forte che la nostra specie abbia inscritto in sé, quello sessuale, dice qualcosa di come concepiamo noi stessi e di come non vediamo più il nostro alto compito. E dice forse anche che, la butto lì, il sesso per il sesso, la slot machine del piacere giusto per sentire scrosciare le monetine del piacere (e non tanto spesso, pare) alla fine smagano, sfiniscono, perché umiliano la persona. La donna probabilmente lo sente un po’ di più dell’uomo, per il fatto che sente di più i contenuti affettivi rispetto all’uomo – che pure li sente e ne ha bisogno, come anche la donna sente il richiamo erotico – mentre nell’uomo agiscono con più forza i contenuti sensuali.

Anche questa differenza non è di per sé un male, né significa che il maschio sia bestiale e da rieducare, o che la donna sia tale solo se angelicata o, nella versione femminista, solo se affranca l’impulso sessuale dal desiderio di un’unione vera (e infatti qualcosa di buono questo movimento forse lo sta portando, definendo l’astinenza una virtù e non una iattura). Siamo tutti, maschi e femmine, da educare e guarire per arrivare gradualmente e con prevedibili cadute alla dignità che sentiamo ci spetta, quella che la Rivelazione ci mostra.

Forse ciò che gridano ed esigono queste donne dicendo no al sesso da consumare che alla fine ci consuma è una cosa sola: ciò che desideriamo tutti, maschi e femmine, è niente altro che l’amore vero, incondizionato, capace di integrare al suo interno la bellezza stupefacente del linguaggio erotico e di generare vita. Diceva Karol Wojtyla, in Amore e responsabilità, edizione Marietti, 1960, un’opera filosofica scritta quando era cardinale di Cracovia, che «Il genere umano può essere conservato nella sua esistenza solo a condizione che le coppie umane (lui non lo dice ma a noi tocca, coppie di uomo e donna) seguano l’impulso sessuale».

Questo significa che ciò che è determinato, mosso da una forte tendenza, come è l’impulso sessuale, insiste sull’attributo che il Creatore ritiene più importante: la nostra esistenza. Il rifiuto di questa dimensione, fatto come nel caso di questi movimenti neo-femministi, a mo’ di ostinato sciopero della fame e non in nome di un’offerta di sé per un altro amore, come avviene nella consacrazione religiosa, sembra suggerire proprio questo: stanchezza, scoraggiamento, rinuncia alla lotta faticosa, ma pur sempre bella, che da sempre segna la relazione tra le donne e gli uomini e permette che continuiamo a crescere e a moltiplicarci. (Fonte foto: Imagoeconomica)

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