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Insurrezioni cattoliche, quando il popolo non ci sta
NEWS 19 Novembre 2018    di Lorenzo Bertocchi

Insurrezioni cattoliche, quando il popolo non ci sta

La storia insegna, i cristiani sono sempre stati chiamati a resistere verso ogni tentativo del mondo di adorare qualche idolo. C’è, nella vocazione propria del cristiano, un non possumus dichiarato in faccia al mondo quando questo costringe a rinnegare la fede in Gesù Cristo.

Oggi il cristiano in occidente è chiamato a confrontarsi con una mentalità che vuole ridefinire la natura umana attraverso la destrutturazione della famiglia, la procreazione assistita, aborto e eutanasia. Ancora una volta sembra si apra un capitolo di persecuzione.

Come scriveva Tertulliano “il sangue dei martiri è seme di cristiani”, fin dalle origini menzogne, violenze e provocazioni hanno accompagnato la vita di quanti professavano la fede nel Cristo Signore. Da Stefano in poi è una lunga scia di sangue che ha irrorato la terra.

Molte volte questa vera e propria resistenza è stata messa in atto da interi popoli che si vedevano portare via quanto dava senso alle loro giornate e alle loro vite.

Un primo caso è quello del popolo di Cornovaglia e Devon nell’Inghilterra di Enrico VIII. In seguito al rifiuto del Papa Clemente VII di accordare il divorzio al Re, che voleva ripudiare la legittima sposa per impalmare Anna Bolena, Enrico VIII portò la Chiesa d’Inghilterra in stato di scisma. Con Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury, la chiesa inglese arrivò ad abolire la messa, il Book of Commun Prayer rimpiazzò il breviario e si proibì il celibato dei preti. Così il popolo insorse contro chi voleva imporre ai sacerdoti il nuovo culto; in ballo c’erano i sacramenti. Guidati da alcuni signori locali i popolani di Cornovaglia e Devon si organizzarono in armi e, sotto le insegne della Cinque Piaghe di Cristo, partirono per difendere la loro fede: vennero massacrati. Non erano rivoluzionari, ma erano determinati a disobbedire sulla questione della messa. In Inghilterra seguirono molte altre resistenze e altrettanti furono i massacri con sacerdoti appesi ai campanili e teste di fedeli esposte sulle piazze nei giorni di mercato. Con Elisabetta I l’Inghilterra diviene praticamente inabitabile per i cattolici che potranno rivedere un po’ di libertà solo a partire dal 1829.

Altro caso di resistenza è quello della Vandea francese. Anche qui una insurrezione spontanea e popolare, non organizzata da clero e nobiltà, ma che nasce dalla gente che si vede stravolgere la vita dai giacobini intenti a fare l’uomo nuovo. Nel 1793 la Vandea insorge, le difficoltà dei giacobini a sedare la sollevazione furono enormi e così si optò per un vero e proprio genocidio. Dapprima si procedette con la deportazione di donne, vecchi e bambini, poi furono massacrati tutti coloro che rimanevano; per la prima volta nella storia si utilizzarono metodi non convenzionali: gas, veleni, annegamenti di massa, forni crematori, incendi di case con dentro intere famiglie. Il tutto autorizzato dal Comitato di salute pubblica dello Stato che applicava alla lettera un famoso pensiero di Rousseau: “se il popolo pensa male, bisogna cambiare il popolo”.

Ma anche in Italia c’è stata un’insorgenza a difesa della fede e della tradizione. Tra il 1796 e il 1799 non vi fu regione in cui le popolazioni non si ribellassero all’invasore francese e vi sono storici che ritengono che la partecipazione (fino a 280.000 insorgenti) fu massiccia. Come nella Vandea francese la gente percepì immediatamente la natura del giacobinismo. Basta leggere le cronache del tempo per rendersi conto di come la popolazione insorgesse proprio in seguito alle offese al senso religioso: una processione impedita, il saccheggio di una chiesa, un convento chiuso, perfino l’ordine di non suonare le campane.

La storia insegna; anche oggi forse c’è una resistenza da compiere. Non si tratta ovviamente di imbracciare fucili, però c’è da chiedersi se vi è ancora un popolo pronto a mettersi in gioco.


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