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La predica corta della domenica #5 – Nessuno è profeta in patria
NEWS 30 Gennaio 2022    di don Francesco Capolupo

La predica corta della domenica #5 – Nessuno è profeta in patria

IV Domenica del Tempo Ordinario 30/01/2022

Commento al Vangelo Lc 4, 21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». L’evangelista Luca sintetizza con estrema bellezza e poesia un momento catechetico che, molto probabilmente, avrà occupato gran parte della giornata o delle giornate di Gesù nella sinagoga di Nazaret, il villaggio dove Gesù è cresciuto e da dove è partito per la sua predicazione in Galilea. “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.

Oggettivamente Gesù aveva conquistato l’uditorio e le sue parole di Grazia avevano suscitato un vivo interesse nei suoi confronti, d’altronde Lui è il Messia del salmo 45, Gesù è lodato perché “la grazia è sparsa sulle sue labbra”. Potremmo dunque dire che la prima predicazione di Gesù al ritorno nel suo villaggio d’origine inizialmente, sembra aver portato frutti. Il racconto, però, subisce una svolta improvvisa: «Non è costui il figlio di Giuseppe?», come se quello stesso uditorio rimanesse colpito dalla bontà e semplicità delle sue parole ma, parallelamente, anche cinicamente banalizzato dalla umiltà delle sue origini: è mai possibile qualcosa del genere, per uno che nasce da così umili natali?.

Il cinismo, l’abitudinarietà, la semplice ripetitività sono le armi più affilate che il Diavolo mette nei nostri cuori per cercare di distruggere sul nascere l’azione di Dio in noi, per la nostra conversione.

Gesù non evita il conflitto, anzi lo fa esplodere. Certamente, dice, alla fine dei vostri ragionamenti vi verrà in mente un proverbio: ‘Medico, cura te stesso’. Ovvero, se vuoi avere autorità e non solo pronunciare parole, fa’ anche qui a Nazaret, tra quelli che conoscono la tua famiglia, ciò che hai fatto a Cafarnao!. È una tentazione che Gesù sentirà più volte rivolta a sé: qui tra i suoi, più tardi a Gerusalemme e, infine, addirittura sulla croce .

È la classica domanda di azioni straordinarie, di miracoli: ma tutta la Scrittura mette in guardia che proprio questo atteggiamento è il primo atteggiamento degli “uomini religiosi” che rifiutano Dio, l’atteggiamento “clericale”: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Gesù pronuncia questa frase con dolore per il rifiuto subito ma anche con la consapevolezza che da quel rifiuto nasca una testimonianza.

Lodandolo per le sue parole di grazia, il popolo non gli dava testimonianza, ma ora, rigettandolo, sì: perché questo accade a chi è profeta, a chi porta sulla sua bocca il volto di Dio e lo mostra a chi gli sta di fronte. In altre parole, potremmo dire che il Signore riceve una sorta di paradossale (per noi) e particolare conferma dello Spirito che scende sul capo del profeta che è tale perché, a caro prezzo, fa esperienza del rifiuto e scopre l’intimo privilegio d’amore che sarà totale nel sacrificio della croce, di sperimentare la mite e serena certezza di svolgere un servizio non in nome proprio, ma in nome del Padre; non per vanagloria, non per tornaconto personale, ma in obbedienza alla Sua Missione: la responsabilità del Figlio Amato che risponde alla missione di chiamare alla vita ogni uomo!

Questo è l’atteggiamento degli uomini di Dio. Egli sa bene che le Scritture attestano questo anche per i profeti Elia ed Eliseo, e lo dice. Con queste parole Gesù, nella sua missione, fa cadere ogni frontiera, ogni muro di separazione: non c’è più una terra santa e una profana; non c’è più un popolo dell’alleanza e gli altri esclusi dall’alleanza. No, c’è un’offerta di salvezza rivolta da Dio a tutti.


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