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La Via crucis del Patriarca Francesco Moraglia
NEWS 18 Marzo 2019    di Redazione

La Via crucis del Patriarca Francesco Moraglia

Si intitola La sapienza della Croce ed è un piccolo libro disponibile in questi giorni (ed. Marcianum press) che raccoglie le meditazioni inedite che il Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, ha appositamente svolto per ciascuna delle 14 stazioni della Via Crucis, pratica antichissima e popolare che – soprattutto in questo tempo di Quaresima – scandisce ed accompagna il cammino ecclesiale verso la Pasqua. Ecco alcune anticipazioni:

Gesù è condannato a morte, e noi da che parte stiamo?

«Una domanda si pone in modo spontaneo: quanto conta il giudizio di Dio nella nostra vita e quanto il giudizio degli uomini? Una seconda domanda si lega alla precedente: chi è Pilato e dove abita? La risposta è semplice e imbarazzante: Pilato sono io e Pilato abita in me. Ciò si fa evidente ogni volta che devo prendere posizione, scegliere fra Gesù-verità e il “buon senso” del mondo. E se le mie scelte sono la fotocopia di quelle del mondo, allora, devo chiedermi se Pilato ha preso in me il sopravvento».

Gesù cade, e noi sappiamo rialzarci?

«In tale società dell’apparenza e per la cultura che la genera, tutto è concesso eccetto il non emergere. Pensiamo a cosa voglia dire in tale contesto cadere. Eppure Gesù è caduto e non una sola volta, ma più volte. Gesù che cade e si rialza è un’immagine-simbolo. È possibile cadere e rialzarsi non dandosi per vinti. Come? Credendo alla misericordia di Dio, ovvero che Dio entra nella nostra vita e sempre ci precede e accompagna. Chi si rialza è grande perché ha l’umiltà di lasciarsi rialzare».

Il pianto delle donne è sul peccato dell’uomo

«(…) in realtà piangono sulla condizione umana. Gesù, infatti, sta andando verso la croce, conseguenza del peccato che non può essere considerato semplice errore o carenza di bene; è qualcosa di essenzialmente diverso e porta in sé il radicale contrasto tra il progetto di Dio e quello dell’uomo. Il peccato è il no esplicito dell’uomo a Dio e la sua assurdità (non-senso) non può che decostruire la persona. Per questo, mentre le donne piangono su Gesù, in realtà piangono su di loro; il peccato porta ad uscire dall’amore di Dio e, così, da ogni logica umana. Alla fine, il senso del pianto delle donne di Gerusalemme è il pianto sull’uomo peccatore, diventato non-senso».

Gesù muore in croce

«(…) la morte è il momento in cui la persona raggiunge la sua pienezza, il suo compimento, consegnandosi totalmente a Dio, a sé e alla storia. Il modo in cui Gesù muore è emblematico: c’è tutto l’anelito del Figlio che si rivolge al Padre esprimendo il suo Io filiale. Non è un grido disperato, ma una preghiera. La morte è la più grande solitudine dell’uomo: si muore soli, nessuno può morire al nostro posto e ciascuno di noi vive tale evento in prima persona e, in quel frangente, Gesù esprime il Suo Io di Figlio e il cristiano sa – nella fede battesimale – di vivere l’evento-morte in Gesù, Figlio del Padre, il Risorto».

Gesù, Giuseppe d’Arimatea e il coraggio necessario

«Il coraggio di Giuseppe esprime ed è profezia dello Spirito che, in pienezza, sarà effuso il giorno di Pentecoste che sarà, per gli apostoli e per i discepoli, riscatto e liberazione dalla paura; non più prigionieri del loro io, potranno annunciare il Vangelo. Senza coraggio non si può essere discepoli del Signore e il coraggio richiede, innanzitutto, di dire e fare la verità con amore e speranza, sapendo che la verità è essenziale perché la giustizia sia realmente giustizia, il bene veramente bene e l’amore pienamente tale».

La pietra e il sepolcro (che non resterà sigillato)

«La grossa pietra posta a sigillo del sepolcro è l’ultima e definitiva parola che gli uomini hanno detto su Gesù di Nazareth. Ma, ora, risuonerà la Parola di Dio, il Padre, così sarà a tutti chiaro che Gesù, il Cristo appartiene a Dio. E la mattina dopo il sabato, finalmente, è Pasqua, la meta verso cui era, da sempre, incamminata la storia della salvezza. Il sepolcro vuoto sarà, per ogni tempo e per ogni uomo, il segno che Dio è più forte del peccato e della morte. L’ottavo giorno – il giorno della risurrezione – diventa la prima domenica della storia, in attesa, ormai, solamente della domenica senza tramonto quando, in Cristo, Dio sarà “tutto in tutti”». (fonte: www.patriarcatovenezia.it )


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