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Le macchie sulla Sindone sono di sangue. Di un torturato
NEWS 7 Agosto 2018    di Giulia Tanel

Le macchie sulla Sindone sono di sangue. Di un torturato

Le discussioni attorno alla sacra Sindone non conoscono tregua, così come molti sono gli studi che hanno per soggetto il Telo che ha avvolto – non appare azzardato affermarlo – il corpo di Cristo. Tra questi, si distingue per importanza una ricerca sul sangue presente sulla Sindone realizzata da Paolo Di Lazzaro con ricercatori Enea, Inrim e Cnr e pubblicata sulla rivista scientifica Applied Optics.

Per capire meglio di cosa si tratti, Il Timone si è rivolto direttamente al fisico Paolo Di Lazzaro (nella foto a sinistra), dirigente di ricerca presso l’Enea di Frascati e vicedirettore del Centro Internazionale Sindonologia.

Una delle obiezioni più frequenti mosse contro la veridicità della Sindone è quella per cui, una volta rappreso, il sangue dovrebbe diventare per forza marrone, mentre sul Telo il sangue è di colore rossastro. Come mai questo avvenga, si era già ipotizzato: ora lo si è verificato. Di Lazzaro, quando il sangue resta rosso?

«Abbiamo verificato sperimentalmente che il sangue con elevata bilirubina (come quello di una persona duramente percossa e torturata) non si scurisce dopo quattro anni, se viene irraggiato da luce ultravioletta poche ore dopo essere stato assorbito da un tessuto di lino. In pratica, il colore del sangue non scurisce a causa dell’interazione fotochimica tra luce ultravioletta e bilirubina contenuta nel sangue».

Questo si verifica solo con una particolare tipologia di sangue?

«Abbiamo verificato che il sangue normale si scurisce col tempo sia se è stato irraggiato con luce ultravioletta, sia se non viene irraggiato. Inoltre, il sangue con elevata bilirubina non irraggiato si scurisce anch’esso. Possiamo quindi dedurre che è necessaria la compresenza di due parametri per fare in modo che il sangue non scurisca col tempo: la bilirubina elevata e la luce ultravioletta».

Con la vostra ricerca siamo quindi di fronte all’ennesima conferma che quello sulla Sindone è vero sangue?

«Il nostro lavoro mirava a verificare per quale motivo il sangue della Sindone è rossastro. Che si tratti di sangue vero è stato già verificato nel 1978, durante le analisi scientifiche svolte dal professor Baima Bollone e dal gruppo di scienziati statunitensi STuRP. Comunque, nelle nostre misure ottiche abbiamo trovato un indizio spettroscopico che rivela la presenza di metemoglobina nel sangue sindonico. La metemoglobina è una forma di emoglobina fortemente ossidata, tipica del sangue antico. Di conseguenza, le nostre misure confermano per l’ennesima volta che nel sangue sindonico c’è sangue antico. Quanto antico? Non possiamo dirlo».

Recentemente è stata pubblicata sul Journal of Forensic Sciences una ricerca a firma di Luigi Garlaschelli, chimico del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (Cicap), e di Matteo Borrini, antropologo forense dell’Università di Liverpool. Sullo studio Lei ha espresso perplessità. In particolare, cosa non l’ha convinta?

«Gli esperimenti di Borrini e Garlaschelli si proponevano di simulare il percorso del sangue fuoriuscito dalle ferite al polso e al costato dell’uomo della Sindone: gli inglesi la chiamano blood pattern analysis (analisi del percorso del sangue). Per fare un esperimento di questo tipo, bisogna avere: 1) sangue con densità e fluidità simile a quella dell’uomo sindonico disidratato e morente; 2) un sistema per spillare questo sangue alla stessa velocità da cui uscirebbe da un polso inchiodato e da una ferita al costato e alla stessa frequenza determinata dal battito cardiaco irregolare di un uomo sfinito, con difficoltà respiratorie a causa della crocifissione e quasi morente; 3) una superficie simile alla pelle sporca, sudata, con peli e con rilievi da ecchimosi sparse ovunque come quella dell’uomo della Sindone. Potete quindi immaginare la mia sorpresa quando ho letto l’articolo sul Journal of Forensic Science in cui gli autori usano un manichino di plastica su cui premono un bastone con attaccata una spugna contenente sangue artificiale per simulare la ferita al costato, e in un’altra prova il sangue vero ma con anticoagulante spinto da una pompetta a mano in un tubicino che termina sul polso del chimico Garlaschelli, che per sua fortuna non era né sudato, né sporco, né con ecchimosi. Insomma, nell’esperimento c’erano condizioni completamente diverse da quelle che si volevano riprodurre».

Ovviamente si tratta di un tentativo grossolano e dilettantesco: chiunque è in grado di capire che in questo modo non è possibile riprodurre realisticamente il flusso di sangue di un uomo disidratato e morente, e nemmeno la superficie su cui scorre il sangue, che è una pelle sporca, sudata e piena di ecchimosi. Come era da aspettarsi, nell’esperimento di Borrini e Garlaschelli il sangue ha seguito percorsi diversi da quelli osservati sull’uomo della Sindone. Sarebbe stato sorprendente il contrario.

Le conclusioni dell’articolo di Borrini e Garlaschelli non tengono conto dei limiti grossolani dell’esperimento, il quale, date le condizioni molto lontane dal modello che si intende simulare, non consentono di giungere a nessun esito certo».


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