Tutto fa brodo, quando si tratta di parlar male della religione. Bufale incluse, ovviamente; come quelle di ricerche scientifiche che stigmatizzano chi crede salvo poi rivelarsi sostanziali bufale. Lo dimostra il caso di una pubblicazione peer review che, nel novembre 2015, uscì sulla rivista Current Biology con una notizia bomba: quella secondo cui i bambini atei sono più altruisti di quelli cristiani e mussulmani, i quali – nell’ambito degli aspetti monitorati nella ricerca – erano risultati d’accordo nell’infliggere pene più severe, erano meno generosi nel condividere ed avevano la tendenza a correggere gli altri.
A questa conclusione, che in sostanza equiparava la religione a una cattiva maestra, era arrivato un team di ricerca coordinato da Jean Decety, neuroscienziato presso l’Università di Chicago, il quale aveva esaminato con i colleghi il comportamento di oltre 1110 bambini provenienti da tutto il mondo. Per la verità i bambini cristiani erano comunque risultati più generosi di quelli islamici, tuttavia – come si è detto – la conclusione della ricerca era stata che «la religione può portare i bambini ad essere più determinati nella loro visione di ciò che è giusto e sbagliato, e meno etici quando si considerano situazioni diverse».
Decety si era inoltre sbilanciato affermando che «la laicità – ovvero avere le proprie regole basate sul pensiero razionale e sulla ragione, piuttosto che su libri sacri – è meglio per tutti». La religione serve solo a indottrinare, non ad educare: queste dunque, in estrema sintesi, le conclusioni della ricerca. Che – e ti pareva – venne ripresa da siti e giornali di mezzo mondo, tra qui ricordiamo: Los Angeles Times, The Economist, The Boston Globe, Psychology Today. In Italia la notizia di questo studio fu prontamente rilanciata tra gli altri dall’autorevole Le Scienze, da Repubblica, da Huffington Post e da Gay.it. Tutte testate e portali desiderosi di poter benedire la superiorità dell’etica laica su quella religiosa; perché questo, in fondo, era la sostanza degli esiti dello studio.
Ora, distanza di quattro anni che cosa è emerso? Semplice: che lo studio era una bufala. O, meglio, i risultati cui erano pervenuti i ricercatori erano fuorvianti. A riconoscerlo, dando prova, occorre riconoscerlo, di non scontata onestà intellettuale, sono stati gli stessi autori della ricerca di allora che, in una pubblicazione emblematicamente intitolata «RETRACTED: The Negative Association between Religiousness and Children’s Altruism across the World» e pubblicata da poco, sempre su Current Biology, hanno ritirato lo studio pubblicato spiegando che esso conteneva degli errori procedurali che ne falsavano le conclusioni.
«Ci scusiamo con la comunità scientifica per qualsiasi inconveniente causato dal nostro lavoro», hanno dichiarato Jean Decety e coautori, aggiungendo che quando hanno rianalizzato i dati per correggere l’errore hanno scoperto che il «Paese di origine, anziché l’affiliazione religiosa, è il principale predittore di molti dei risultati». Morale della favola: la religione è assolta, non è la cattiva maestra che si pensava, e l’etica laica non è affatto migliore e fautrice di maggiore generosità.
Peccato che la notizia del ritiro dello studio – come c’era da aspettarsi – non ha avuto alcuna eco. «Ancora una volta uno studio pubblicizzato con entusiasmo dai media d’élite deve essere ritirato dal giornale accademico che lo ha pubblicato», è stato il commento, su Twitter, del professore dell’Università di Princeton, il noto pensatore Robert P. George. Peccato che per un P. George che coraggiosamente evidenzia la figuraccia dei media – l’ennesima, aggiungiamo noi -, sempre pronti a dar contro alla religione, i diretti interessati facciano finta di nulla. Si vede che i media hanno imparato la pessima lezione di Voltaire: «Calunniate, calunniate: qualcosa resterà».
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