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Nel 2021 la partita sarà demografica
NEWS 8 Gennaio 2021    di Giuliano Guzzo

Nel 2021 la partita sarà demografica

Che anno sarà il 2021? A pochi giorni dal suo inizio, molti guardano all’anno nuovo con aspettative sanitarie – di uscita dalla pandemia, essenzialmente – ed economiche. Comprensibile. C’è però anche un altro livello che merita d’essere considerato con prioritaria attenzione, nei prossimi mesi: quello demografico. Sì, perché nel 2020 non c’è stato solo, tra le altre cose, un immenso numero di aborti praticati a livello planetario – 42.655.372 secondo le elaborazioni statistiche Worldometer (nel 2019 furono 42,4 milioni) – ma si sono toccati vari record demografici. Negativi.

Per esempio, le stime sulla popolazione recentemente pubblicate dal Census Bureau hanno mostrato dati minimi di crescita sia per lo scorso anno, sia per l’intero decennio – comparato con i precedenti – tra il 2010 ed il 2020. Non è un caso isolato. Anche la popolazione della Corea del Sud, che non è un Paese tra tanti essendo la quarta economia più grande dell’Asia, è diminuita per la prima volta nella sua storia nel 2020; e ci sono tendenze internazionali – negative anch’esse – destinate ad accentuarsi.

Basti pensare al fatto che le popolazioni in età lavorativa di Hong Kong, Giappone, Cina continentale, Singapore, Corea del Sud, Taiwan e Thailandia, aggiunto il loro picco nel 2015, si sono ridotte e continueranno a diminuire a un ritmo accelerato nei prossimi decenni, come ha osservato la studiosa della popolazione Shannon Roberts. Per la verità, c’è però chi sta già correndo ai ripari. E non uno staterello qualsiasi, bensì il più grande di tutti: la Cina.

Sì, perché dopo 400 milioni di nascite impedite nei decenni a colpi di aborti forzati e “femminicidi” in culla, il 1° novembre scorso in Cina si è iniziato il nuovo censimento, i cui esiti non saranno reso noti, si pensa, prima che in aprile. Intanto però, come notava lo scorso novembre il South China Morning Post, l’espressione «pianificazione familiare» è stata curiosamente eliminata dal quattordicesimo quinquennale della Cina e della sue politiche in vista del 2023. Non solo. La Cina sarebbe decisa, ancorché differenziando tale approccio in base alla situazione di ciascun territorio, a «migliorare la politica delle nascite» così da renderla «più inclusiva».

Addirittura, secondo Yi Fuxian dell’Università del Wisconsin-Madison, demografo e autore del volume Big Country with an Empty Nest, saremmo vicini ad «una svolta storica», che vedrà il governo cinese perfino proteggere «il diritto di avere figli». Staremo a vedere. Quel che intanto appare certo, ed è già molto, è che l’abbandono della politica del figlio unico, di cui si parla ufficialmente almeno dal 2016, in Cina è sempre più realtà, con un occhio di riguardo in particolare alle aree rurali, su cui il regime punta per ristabilire un andamento demografico sostenibile.

Nello stesso periodo in cui gli Stati Uniti iniziano a fare i conti con un rallentamento della crescita, insomma, Pechino guarda già oltre, puntando su una ripartenza demografica. E l’Europa? Purtroppo pare stia a guardare. Il fatto è tragico se si pensa che, secondo quanto messo nero su bianco dal Pew Research Center nel rapporto The Future of World Religions: Population Growth Projections, 2010-2050, il Vecchio Continente è «l’unica regione» del pianeta destinata ad assistere alla riduzione «della propria popolazione totale fra il 2010 e il 2050».

Non va meglio se si guarda all’Italia, dove l’inverno demografico è più forte che mai eppure – anche guardando la lista della spesa, per così dire, del Recovery plan e dei 209 miliardi che dovrebbero arrivarci dall’Unione europea – la priorità demografica non compare. Con il risultato che anche in questo 2021, mentre Stati importanti stanno iniziando ad occuparsi della loro natalità, il nostro Paese rischia di attardarsi. Però rimandare il problema, purtroppo, non lo risolverà, anzi: lo aggraverà. Quello iniziato rischia così di essere l’anno della demografia come nuovo ambito di priorità e di indirizzo politico. Ma non per noi.


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